Aurélie Dupont in “Ekstasis”.

L’eredità di Martha Graham, rivoluzionaria fondatrice della “modern dance”, messa in scena in questo ‘assolo’, sobrio e semplice al tempo stesso, vibrante di una certa memoria ancestrale del corpo.

Chissà cos’è stato, per Martha Graham, fermare quel suo corpo minuto e potente per lasciare, a settantasei anni, il palcoscenico. A cosa sarà mai servito il sollievo temporaneo di una bottiglia e un bicchiere vuotati in fretta, dopo aver passato una vita in cui emozione, carne, respiro e pensiero erano fusi in un’unica entità, uno strumento totale che, da anima individuale, sapeva aprire lo sguardo e dare voce al sentire di un’epoca intera. Le sarà bastato immaginare nuove coreografie dopo aver ridisegnato coi suoi passi la storia della danza? Dopo gli anni ’30, la guerra, la fama e tutto il resto?

Forse è stato l’unico compromesso accettabile contro il fluire di quel tempo che lei stessa aveva liberato con la sua arte onnicomprensiva, tant’è che ancora immaginava il mondo come un palcoscenico nel ‘91, scrivendo coreografie per le Olimpiadi di Barcellona, mentre si spegneva quasi centenaria. Lasciava in eredità più di centottanta coreografie e una delle prime compagnie di danza, la più longeva, monumento vivente al metodo contract and release che aveva affrancato definitivamente i linguaggi della coreutica dai codici già incrinati dalla generazione precedente di artisti sovversivi.

Quella che di nome faceva Duncan, St. Denis e Shawn e aveva aperto la via alla fusione tra movimento e soffio vitale che, per raggiungere il suo primo culmine, aspettava paziente la danza di Martha.

Proprio con la Martha Graham Dance Company (prima Group) fondata nel 1926, la danzatrice di Pittsburg presto divenuta californiana e poi newyorkese, ha dettato le regole, stravolgendo “il balletto” sino ad allora conosciuto. Ora la compagnia Graham ripropone capolavori storicizzati e produzioni affidate ad artisti che frequentano la destrutturazione di linguaggi del contemporaneo, perseguendo sempre altissimi standard qualitativi. In linea con l’amore per la contaminazione e lo sconfinamento tra generi professati dalla geniale fondatrice, che seppe coinvolgere artisti e musicisti, lasciare il segno su innumerevoli eredi – due tra molti, Merce Cunningham e Twyla Tharp – e nondimeno insegnare l’uso del corpo a celebrità del cinema e della musica come Bette Davis, Liza Minnelli e Gregory Peck.

Aurélie Dupont, già étoile del Ballet de l’Opéra de Paris di cui oggi è la Directrice de la Danse, ha scelto di interpretare proprio la ricostruzione di Ekstasis, leggendario assolo di Martha Graham, immaginato nuovamente da Virginie Mécène, e il brano dal titolo Star, su una canzone di Nina Simone, firmato da Alan Lucien Øyen, coreografo norvegese attualmente molto in vista.

L’esibizione si è svolta, come di consueto, nell’ambito de “Les Étoiles Gala Internazionale di Danza” a cura di Daniele Cipriani.

In Ekstasis, coreografia del 1933 – erano questi anni creativamente molto prolifici per la coreografa – prese il via la scoperta di un nuovo movimento del bacino. In un’intervista del 1980, la Graham spiegò che la genesi di questo lavoro derivava da una spinta pelvica che scoprì casualmente e che la portò a sondare un nuova gestualità con cui superò la qualità di movimento più statica e legata alla ritualità indagata sino ad allora.

Danzando con un abito che appare quasi una seconda pelle, Aurélie Dupont si trova al centro della scena, ieratica come la immaginava la Graham – non una donna – ma LA donna, terrena, potente, solitaria, stordita dalla sua forza improvvisa, istantanea, inaspettata. Siamo coinvolti in questo assolo scultoreo, con la sua energia contenuta, dall’inizio alla fine, in una sorta di “mistero primitivo” che ci riporta a figure arcaiche, greche o egizie, ma anche molto attuali nella loro purezza e semplicità.

Virginie Mécène, che ha re-immaginato la coreografia, ha trasmesso alla perfezione ad Aurélie Dupont le ultime indicazioni di Martha Graham: “tieni la mano con le dita chiuse per non attirare l’attenzione e libera l’intero movimento dai fianchi” – e così Aurélie, come se cercasse di togliersi il vestito, spinge indietro i limiti dello spazio.

In questo assolo c’è qualcosa di sobrio e semplice nel modo di appoggiare le braccia, che sembrano allungarsi e alzarsi naturalmente. È la memoria ancestrale dei corpi, come se la trama del movimento partisse proprio da una sorta di  ‘piede di supporto’.

Aurélie Dupont, nata il 15 Gennaio 1973 a Parigi, si annovera fra le rare detentrici del titolo di danseuse étoile de l’Opéra de Paris.

Ballerina particolarmente amata in Francia, trascorre tutta la sua brillante carriera all’interno della Maison parigina. Entrata a far parte della Scuola di Ballo dell’Opéra nel 1983, dopo quattro anni, nel 1989, all’età di soli sedici anni, entra a far parte del Corpo di Ballo. Nel 1996 è nominata première danseuse e il 31 Dicembre 1998, al termine della rappresentazione del Don Chisciotte di Nureyev, è insignita del prestigioso titolo di Danseuse étoile, che conserva per diciassette anni, fino al suo addio alle scene, avvenuto il 18 Maggio 2015 con la rappresentazione del balletto L’histoire de Manon di Kenneth MacMillan, accompagnata da Roberto Bolle dei panni del Cavaliere Des Grieux.

L’histoire de Manon occupa un posto particolare nella carriera e nella vita della Dupont: nel 1998 infatti, appena sei mesi dopo la sua nomina ad étoile, si infortuna a un ginocchio e rischia di non poter più tornare a danzare; il suo ritorno alle scene è invece segnato proprio dall’interpretazione del ruolo di Manon Lescaut.

Nel 1997 un altro incontro decisivo per la sua carriera, quello con Pina Bausch, dalla quale apprende a danzare con l’anima e a lasciare da parte l’eccesso di tecnica. La grande coreografa tedesca la sceglie inoltre per interpretare il ruolo dell’Eletta nel balletto Le Sacre du Printemps di Stravinsky.

Il suo vasto repertorio comprende i principali ruoli dei balletti classici affiancati da altri più contemporanei quali Carmen nella coreografia di Roland Petit, Giselle di Mats Ek,  In the Middle Somewhat Elevated di William Forsythe per citarne solo alcuni.

Molti sono i riconoscimenti di cui la Dupont è stata insignita nel corso degli anni. Fra questi si ricordano il prestigioso premio di Varna nella categoria Juniores (1992), il Prix Benois de la Danse (2002) e la nomina a Cavaliere delle Arti e delle Lettere, assegnatale dal governo francese, al fine di “rendere omaggio al suo immenso talento, a tutto ciò che le deve il balletto dell’Opéra di Parigi e, oltre a questo, la danza di oggi”.

Dal 2016 è alla guida del ballo dell’Opéra di Parigi, dopo le dimissioni rassegnate dal precedente direttore, Benjamin Millepied, dopo appena quindici mesi dalla sua nomina.

Virginie Mécène, nata in Francia, si è laureata presso l’Università della Borgogna con un indirizzo professionale in gestione artistica e culturale. Ha ricevuto una formazione di danza multidisciplinare a Parigi e si è diplomata con un CAE in Jazz presso la Fédération Française de la Danse. Dopo aver insegnato a Parigi per due anni, si trasferisce a New York City nel 1988 per approfondimenti sulla tecnica Martha Graham. In qualità di regista, la signora Mécène ha rimontato e diretto numerose opere di Martha Graham e ha insegnato la tecnica di Graham in numerose conferenze nazionali e internazionali. Nel 2011 la Mécène ha rimesso in scena la Tavola del Silenzio della Sig.ra Buglisi sulla Piazza della Cattedrale di San Rufino per celebrare la visita di Papa Benedetto XVI ad Assissi, in Italia. È stata anche docente al Barnard College, NY, nel 2004.

Nel 2017 Virginie Mécène ha reimmaginato Ekstasis, l’assolo di Graham perduto del 1933, per la Martha Graham Dance Company, in anteprima al Joyce Theatre, con recensioni entusiastiche. Ha anche ricostruito un’opera originale da American Document di Miss Graham, The “Puritan Duet”, in anteprima nel 2010 al Joyce Theatre durante la Martha Graham Dance Company New York Season.

Il suo lavoro coreografico è stato rappresentato a New York City, Saratoga Springs, New Town, Flint, Baton Rouge, Cape May e anche a livello internazionale, a Singapore, Francia, Italia e Giappone.

La Mécène ha ballato con il Buglisi Dance Theatre (precedentemente Buglisi / Foreman Dance) dal 1994 fino al 2007 e continua a esibirsi come ospite. Ha anche ballato con Pearl Lang Dance Theatre, Battery Dance Company e nel lavoro di Susan Stroman e Lucinda Child, tra gli altri.

Mécène funge anche da giudice per concorsi di danza a livello nazionale e internazionale. Gli scritti della signora Mécène sono stati pubblicati su Ballet Review e sulla rivista francese  Danser . È stata Presidente dell’EFSD (Emergency Fund For Student Dancers) a New York City dal 2012 al 2016.

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Foto: Massimo Danza

Damiano Ottavio Bigi in “Approaching the lighthouse”.

Eleonora Abbagnato con le stelle italiane nel mondo, ha dato spazio all’omaggio a Pina Baush, indiscutibile Signora della danza del nostro tempo, scomparsa nel 2009 all’età di 68 anni.

Il programma del galà internazionale, curato da Daniele Cipriani, spazia dal grande repertorio classico a brani firmati da grandi coreografi contemporanei, fino alle creazioni originali di giovani autori italiani. Un’occasione per ammirare le performance di danza che già conosciamo e amiamo, espresse ai massimi livelli tecnici e interpretativi, ma anche per scoprire una nuova e originale tendenza coreografica, di origine italiana, che sta maturando e crescendo nel mondo.

E con questo intento, Pina Bausch, indiscutibilmente compianta Signora della danza del nostro Tempo, è stata omaggiata con lo spettacolo Approaching the lighthouse, che ha visto protagonista, in scena, con delle proprie creazioni coreografiche, l’italiano Damiano Ottavio Bigi.
Un assolo, a livello stilistico e interpretativo perfetto nell’ accomunare i confini della danza, travalicando quelli del teatro. Bigi, infatti, propone se stesso in una figura che va al di là dell’essere umano, un’entità artistica alla ricerca – inizialmente plausibile, poi quasi disperata – di una performance che gli renda giustizia.

Una rappresentazione così meta-performativa da risultare davvero sincera, sebbene pensata e minuziosamente collezionata per la messinscena del teatro. Il dialogo diretto col pubblico, in particolar modo, è la fonte principale del dubbio nascente nella mente dello spettatore: «sta improvvisando o ha davvero bisogno di essere rassicurato sull’andamento della performance e delle scelte coreografiche prestabilite?».

La verità non conta, perché l’escamotage funziona e lo sguardo del pubblico non si distrae nemmeno per un attimo.La fluidità dei gesti nelle sequenze danzate è a dir poco ipnotica, come se il danzatore volesse aggrapparsi all’aria per fluttuarvi, per evadere da quel bisogno di performare che lo imprigiona in se stesso, che lo travolge in una buia tempesta, frastornata da suoni terrorizzanti, nella quale si sente perso e desideroso di “ritrovare la luce”.

Ed è proprio con questa che la performance si conclude: una lampadina, piantata al vertice di un’asettica asticella, illumina il boccascena come una fiamma nel cuore dell’oblio, in cui il protagonista appare ancora più solo, vagabondo in un cammino che non sa dove andrà a finire.

Damiano Ottavio Bigi è nato a Roma nel 1982. Nel 1991 inizia a studiare danza classica nella scuola di Nabila El Kattam (Roma) e in seguito presso la scuola dell’Opera di Roma. Nel 1996 si trasferisce in Francia dove inizia anche una formazione di danza contemporanea nel Centre International Rosella Hightower (Cannes). Termina i suoi studi nel Centre National de Danse Contemporain d’Angers. Lavora con coreografi di prestigio come: Joelle Bouvier, Claude Brumachon y Benjamin Lamarche (Centro Coreográfico Nacional de Nantes), Cyrill Davy (Francia), Abou Lagraa (Francia) y Alvaro Restrepo (Colombia).Dal 2006 fa parte del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, compagnia con la quale partecipa al film “Pina” di Wim Wenders.Dal 2006 Lavora come coreografo e tiene dei laboratori in diversi paesi.

Pina Bausch, tra le più importanti e note coreografe mondiali, ha diretto dal 1973 il Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, con sede a Wuppertal, in Germania. Il suo nome è legato al termine Tanztheater (teatrodanza), adottato negli anni ’70 da alcuni coreografi tedeschi – tra cui la stessa Bausch – per indicare un preciso progetto artistico che intende differenziarsi dal balletto e dalla danza moderna, che include elementi recitativi, come l’uso del gesto teatrale e della parola, con precise finalità drammaturgiche.Inizia la carriera artistica da adolescente, esibendosi in piccoli ruoli di attrice nel teatro di Solingen, la città natale. In seguito si trasferisce a New York, grazie ad una borsa di studio. Perfeziona la sua tecnica alla Juilliard School. Successivamente viene scritturata, come ballerina, dal New American Ballet e dal Metropolitan Opera House. Nel 1962, dopo il rientro in Germania, che la vede impegnata ancora come danzatrice, Pina Bausch inizia nel 1968 a comporre le prime coreografie per il corpo di ballo della sua prima scuola, la Folkwang Hochschule di Essen fondata da Kurt Jooss, che dirigerà dall’anno successivo.Nel 1973 fonda il Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, cambiando nome al già esistente corpo di ballo di Wuppertal. I suoi spettacoli riscuotono fin da principio un indiscusso successo, accumulando riconoscimenti in tutto il mondo. I primi lavori sono ispirati a capolavori artistici, letterari e teatrali, come ad esempio Le sacre du printemps del 1975. Con Café Müller (1978), uno dei suoi spettacoli più celebri, composto sulle musiche di Henry Purcell, si assiste ad una svolta decisiva nello stile e nei contenuti. Mentre le prime opere sono animate da una dura critica alla società consumistica e ai suoi valori, le opere più mature approfondiscono sia il contrasto uomo-società, sia la visione intima della coreografa e dei suoi danzatori, che sono chiamati direttamente ad esprimere le proprie personali interpretazioni dei sentimenti.Pina Bausch muore di cancro ai polmoni il 30 Giugno 2009 all’età di 68 anni.La novità del suo lavoro non consiste tanto nell’invenzione di nuove forme e nuovi gesti, da riprodurre uguali a se stessi, quanto nell’interpretazione personale della forma che si vuole rappresentare, entrambe sostenute dal concetto basilare del rapporto (che è della danza così come di ogni forma di vera arte) tra fragilità e forza. I danzatori sono chiamati alla creazione delle pièces (che Bausch denomina stück) attraverso l’improvvisazione generata dalle domande che la coreografa pone loro. Per questo motivo gli interpreti della compagnia della Bausch vengono spesso denominati con il neologismo di danzattori. Infatti essi non ricoprono solamente il ruolo di danzatori, ma anche quello di attori e di autori dell’opera.

Un altro elemento di novità è costituito dall’interazione tra i danzatori e la molteplicità di materiali scenici di derivazione strettamente teatrale – come le sedie del Café Müller– che la Bausch inserisce nelle sue composizioni. Da citare anche il legame interpersonale che seppe sempre intrecciare coi suoi allievi, basato su un rapporto di reciproco rispetto e di affetto mai gridato ma profondissimo. Lo si evince anche dall’intenso film-documentario Pina dedicatole da Wim Wenders nel 2011 e presentato al 61º Festival di Berlino.

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Elisa Badenes e Friedemann Vogel in “Legende”.

I due danzatori si sono esibiti in questo balletto che ha rivoluzionato la storia della danza, tutt’oggi di grande modernità ed effetto.

Non sbaglia un colpo, Daniele Cipriani, noto impresario della danza, uno dei pochi in grado di proporre al pubblico spettacoli di altissimo livello, nonostante le difficoltà italiane. E’ il caso di Les Étoiles, gala-evento che coinvolge i più grandi esponenti della danza mondiale, degno di città come Londra, Parigi, New York. Giunto ormai alla nona edizione. Un programma ampio che ha incluso anche l’esibizione di Elisa Badenes Friedmann Vogel, davvero affiatati, in Legendeopera del coreografo John Cranko.

Creazione musicale di straordinaria bellezza, ha appassionato generazioni di amanti del balletto classico e tutti gli artisti che ad esso si sono ispirati per raggiungere nuove frontiere interpretative. Questo balletto ha rivoluzionato la storia della danza, tutt’oggi di grande modernità ed effetto, che vede protagonisti il principe Sigfried e il Cigno Bianco, Odette, rivisitati in chiave personalissima e ancor più onirica e surreale da Cranko. L’immagine dei due protagonisti del Lago originale viene qui restituita da uno specchio multiriflettente, risultando molto coinvolgente, con quegli scatti improvvisi, quasi felini, e i profondi pliés, come animali che si acquattano in attesa della preda.

Cranko ha affrontato il lavoro come fosse una leggenda gotica. Ha conservato parte dell’originale nel secondo atto ma il resto è completamente nuovo, cercando di sviluppare il personaggio del principe Sigfrido come un tragico eroe romantico. Balla moltissimo nel primo atto, dove è visto come un giovane spensierato. Nel secondo atto, dove incontra la regina dei cigni Odette, trova l’amore e prende un nuovo impegno personale. Tradita da Odile, l’Odettesurrogate, figlia di un mago che tiene in schiavitù le fanciulle cigno, rifiuta Odette e nell’atto finale paga il prezzo della sua follia e muore. È una visione convincente della leggenda del “Lago dei cigni”, ed è quella che effettivamente pone la giusta enfasi su Sigfrido piuttosto che su Odette-Odile. Questo è probabilmente il modo corretto per guardare in modo nuovo il “Lago dei cigni”.

La coreografia di Legende è molto gradevole, eccezionalmente fluente. Ha rifiutato le interpolazioni orchestrate che facevano parte della versione standard di Ivanov Petipa, e musicalmente la produzione sembra essere più pura.

Elisa Badenes ha una presenza drammatica ed un senso dello stile splendidi. Balla con una certa consapevolezza del linguaggio e della storia del balletto. Lo trovo ammirevole. Friedemann Vogel è, come deve essere, in questa versione, un ‘attore’ di danza consumato. La sua interpretazione di Siegfried si fonde perfettamente con la sua danza, e l’intera perfomance ha un’aria di tragedia naturale.

Legende racchiude valori molto particolari. È individuale ma emozionante, ed è una produzione che ha dato un contributo indelebile alla storia continua del balletto.

Elisa Badenes è nata a Valencia, in Spagna. Ha frequentato il Conservatorio Profesional de Danza de Valencia. Al Prix de Lausanne nel 2008 ha vinto una borsa di studio per la Royal Ballet School dalla quale si è diplomata un anno dopo. Nella stagione 2009/10 Elisa Badenes è entrata a far parte del Balletto di Stoccarda come apprendista, nel 2010/11 è stata accolta nel Corpo di ballo. È stata promossa a Prima ballerina nel 2013/14.

Il suo repertorio comprende una vasta gamma di ruoli principali e solisti tra cui Odette / Odile in Il lago dei cigni (John Cranko), Giselle (Giselle dopo Jean Coralli, Jules Perrot, Marius Petipa), Giulietta in Romeo e Giulietta , Tatiana in Onegin e Katharina in The Taming of the Shrew (tutti John Cranko), Lise in La fille mal gardée (Frederick Ashton), Kitri in Don Quixote (Maximiliano Guerra e Petipa), Aurora in The Sleeping Beauty (Marcia Haydée), Desdemona in Othello e Stella in A Tram chiamato Desire (entrambi di John Neumeier) ed Effi a La Sylphide(Peter Schaufuss dopo August Bournonville). Inoltre, ha ballato ruoli da solista in balletti di Jerome Robbins, George Balanchine, Kenneth MacMillan, Hans van Manen, Jiří Kylián, William Forsythe, Jorma Elo e Edward Clug. Coreografi come Sidi Larbi Cherkaoui, Wayne McGregor, Mauro Bigonzetti, Christian Spuck, Marco Goecke, Demis Volpi e Louis Stiens hanno creato dei ruoli appositamente per lei. Nel 2016 Demis Volpi ha creato per lei il ruolo della protagonista nella sua Salomè .

Elisa Badenes ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi tra cui la medaglia d’oro dello Youth American Grand Prix, l’Audience Choice Award della Erik Bruhn Competition a Toronto nel 2011 e il German Dance Prize Future nel 2015. In Dance Europe’s Critics ‘Choice 2020 è stata nominato nella categoria “Outstanding Performance by a Female Dancer”.

Friedemann Vogel (nato il 1 Agosto 1979) è un ballerino tedesco che si esibisce con lo Stuttgart Ballet come primo ballerino e come artista ospite frequente presso le maggiori compagnie di balletto di tutto il mondo, tra cui il Balletto del Teatro alla Scala di Milano e il Balletto Bolshoi di Mosca. Ha ricevuto diversi prestigiosi premi di danza tra cui il Prix ​​de Lausanne (1997), Prix de Luxembourg (1997), Eurocity Competition in Italy, USA International Ballet Competition (1998) e Erik Bruhn Prize (2002). Nel Settembre 2015 gli è stato conferito il titolo nazionale Kammertänzer il più alto onore in Germania che può essere conferito a un ballerino. L’anno successivo, nel 2016, è stato insignito del “Prix Maya” per “Outstanding Dancer” insieme ad Aurélie Dupont e Diana Vishneva. Nel 2019 è stato eletto “Ballerino dell’anno” dalla prestigiosa rivista di settore TANZ, rendendolo l’unico ballerino maschio al mondo a ricevere questo riconoscimento più di una volta. Nel 2020, è insignito del premio “Outstanding Performer” dal prestigioso German Dance Prize per la sua lunga e illustre carriera internazionale e come interprete di danza unico, con la sua combinazione di intense rappresentazioni emotive e tecnica eccellente.

John Cranko, nato a Rustenburg, in Sudafrica, nel 1927, studiò danza presso l’Università di Cape Town, dove creò la sua prima coreografia: una suite da L’Histoire du Soldat di Stravinskij (1942).
Nel 1946 si trasferì a Londra per continuare i suoi studi e, dopo poco tempo, entrò a far parte del Sadler’s Wells Ballet (poi Royal Ballet).
A 22 anni il grande Balanchine gli commissiona una coreografia per il New York City Ballet (The Witch). Iniziò così la sua collaborazione con la compagnia newyorkese, per la quale creò numerose coreografie e balletti.
Il suo primo balletto completo (The Prince of Pagodas) andò in scena nel 1957, al Royal Ballet di Londra, dopo che nel 1955 aveva coreografato La Belle Hélène di Offenbach all’Opèra di Parigi.
Nel 1958, su invito della Scala di Milano in tournée a Venezia, Cranko creò la sua versione di Romeo e Giulietta, che venne affidata alla giovanissima Carla Fracci e a Mario Pistoni.
Questa fu la prima versione occidentale del celebre balletto e rimase negli annali della storia del balletto moderno. Questa versione richiedeva ai ballerini la capacità di essere anche dei buoni attori, di trovare una loro libertà e creatività nell’interpretazione andando oltre la disciplina accademica. Particolarità, questa, che si ritrova in tutti i grandi balletti creati da Cranko.
Nel 1961 lasciò il Royal Ballet per passare alla direzione dello Stuttgart Ballett, dove operò quello che fu definito “il miracolo Balletto di Stoccarda”: riuscì cioè a formare quella Compagnia di ballo ai massimi livelli, grazie anche alla presenza di due interpreti eccezionali come Marcia Haydée e Richard Cragun.
Cranko fu anche alla testa dell’Opera di Monaco dal 1968 al 1971, influenzando notevolmente il balletto tedesco. Suoi illustri allievi furono infatti Jiri Kylian e John Neumeier, e sulle sue orme si mosse anche Kenneth MacMillan.
Degli anni Sessanta sono autentici capolavori come Onegin (1965), il balletto dell’amore impossibile, e La bisbetica domata (1969), che presentano un profondo scavo psicologico nei personaggi.
Ricordiamo poi Il lago dei cigni (1963), L’uccello di fuoco (1964), Lo schiaccianoci (1966), solo per citarne alcuni.

John Cranko morì a 45 anni al culmine della fama. Sull’aereo che lo portava da Filadelfia in Germania, il 26 Giugno ‘73, ingerì una pillola per dormire e cadde in un coma allergico. Il pilota scelse di atterrare a Dublino, sulla pista era pronta l’ambulanza ma non ci fu nulla da fare. Nato in Sud Africa il giorno di Ferragosto del ‘27, Cranko si trasferì giovanissimo a Londra, lavorò per il Royal Ballet e collaborò con Benjamin Britten. Dal ‘61 fino alla morte ha diretto lo Stuttgart Ballet.

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Tatiana Melnik e Bakhtiyar Adamzhan in Le Corsaire (pas de deux, II atto).

Il pas de deux de Le Corsaire è uno dei più famosi di tutto il repertorio del balletto classico.

 

L’ ukraina Iana Salenko e Bakhtiyar Adamzhan, stelle della danza, sono gli straordinari interpreti del celebre passo a due tratto da “Le Corsaire” con la coreografia di Marius Petipa.

Il balletto, basato sul poema “Il corsaro” (The Corsair) di Lord Byron (1814) e musicato da Adolphe Adam, debuttò il 23 Gennaio 1856 all’Académie Royale de Musique di Parigi.

Un grande spettacolo quello dei due danzatori, all’interno della rassegna Les Étoiles Gala Internazionale di Danza con la direzione artistica di Daniele Cipriani.

Deliziosa scoperta Bakhtiyar Adamzhan (Teatro dell’Opera di Astana) i cui salti, elevazione e potenza, hanno totalmente conquistato il cuore degli stupiti spettatori. Tutta la sua esplosiva potenza e versatilità è emersa nel pas de deux portato in scena: accompagnato dalla perfetta Tatiana Melnik (Hungarian State Opera), che è stata sua brillante partner anche nel passo a due dal III atto del Don Chisciotte. Il lavoro di piedi e la velocità nella variazione della Melnik ha tolto il fiato ai presenti, così come la variazione maschile di Adamzhan e la coda conclusiva, che è risultato il pezzo più acclamato dagli spettatori completamente in visibilio.

Il pas de deux de Le Corsaire è uno dei più famosi di tutto il repertorio del balletto classico. Viene interpretato nel repertorio di quasi tutte le compagnie di balletto, grandi e piccole, da ballerini di formazione classica, da studenti avanzati alle prime ballerine e danzatrici premier. Questo duetto spettacolare è il preferito dal pubblico ogni volta e ovunque venga ballato.

Le Corsaire ha subito molte revisioni in Russia, tra cui quelle di Jules Perrot (1858), Marius Petipa (1858, 1863, 1868, 1885, e 1899), Aleksandr Gorskij (1912), Agrippina Vaganova (1931), Pëtr Gusev (1955), Konstantin Sergeev (1972, 1992) e Jurij Grigorovič (1994).

Durante il XIX secolo la partitura di Adam aveva già visto un considerevole aumento di musica addizionale e all’inizio del XX secolo si erano già aggiunti sei compositori diversi: Cesare Pugni, il granduca Pietro II di Oldenburg, Léo Delibes, Léon Minkus, il principe Nikita Trubeckoj e Riccardo Drigo.

Nel ventunesimo secolo Le Corsaire venne rappresentato fondamentalmente in due versioni. In Russia e in Europa, la versione di Pëtr Gusev del 1955, in America e in alcune parti dell’Europa occidentale, la versione di Konstantin Sergeev del 1973. Spesso però vengono presentati come pezzi a parte i suoi brani più famosi: Le jardin animé, il Pas d’esclave, il Grand pas de trois des odalisques e il celeberrimo Pas de deux.

Le Corsaire fu allestito in Russia dal grande maître de ballet Jules Perrot per il Balletto Imperiale (oggi Balletto Mariinskij) per mettere in risalto le doti della ballerina Ekaterina Friedbürg. L’allora giovane Marius Petipa interpretava la parte di Conrad. Perrot sostanzialmente riprese la coreografia originale di Mazilier mentre Petipa, che contribuì all’allestimento del balletto, riscrisse alcune delle danze originali, tra queste il Pas de Éventails del primo atto (nel quale Medora e sei corifee creano un effetto “coda di pavone” con grandi ventagli) e la Scéne de Seduction.

Per la produzione del 1858, Petipa aggiunse un pas de deux, preso dal suo balletto del 1857 La Rosa, la Violetta e la Farfalla, un lavoro scritto sulla musica del granduca Pietro II di Oldenburg. Questo Pas fu aggiunto soprattutto per la ballerina Ljubov’ Radina, che danzò il ruolo di Gulnare e diventò famoso con il titolo di Pas d’Esclave, un Pas d’action drammatico in cui il mercante di schiavi Lankendem mostra agli altri mercanti la splendida schiava Gulnare per venderla.

Jules Perrot se ne andò dalla Russia nel 1858 e Petipa diventò l’assistente del Maître de Ballet del Balletto Imperiale Arthur Saint-Léon. Alla morte di Saint-Léon, nel 1870, Petipa prese il suo posto come Maître de Ballet mantenendo la posizione fino al 1903.

Nel 1863 Petipa presentò una versione completamente nuova de Le Corsaire, allestita soprattutto per la moglie, la Prima Ballerina Marija Surovščikova. Per questa produzione Petipa commissionò nuova musica al primo compositore del Balletto Imperiale, Cesare Pugni. Tra le aggiunte di Pugni notiamo la Mazurka dei corsari del secondo atto, balletto che compare ancora nelle moderne produzioni.

Per l’edizione del 1863, Petipa ampliò il Pas des Odalisques del secondo atto. Originariamente il Pas era solo un valzer di Adam, ma Petipa decise di farlo diventare Pas de Trois nella forma classica composta da Entrée, 3 variazioni e una coda). Il valzer originale di Adam diventò l’Entrée, per le prime due variazioni e la coda si usò musica originale di Pugni, mentre la terza variazione, trasferita da un’altra scena, era di Adam, originalmente scritta per una variazione di Gulnare. Il Grand Pas è danzato ancora oggi.

Quattro anni più tardi a Parigi, Joseph Mazilier uscì dal suo ritiro per montare di nuovo Le Corsaire per la famosa ballerina tedesca Adèle Grantzow e per celebrare l’Esposizione Universale.

Mazilier coreografò ex novo l’intero balletto aggiungendo un Grand Ballabile su musica di Léo Delibes, creato apposta per la Grantzow, noto a quel tempo con il nome di Grand Pas des Fleurs. Il debutto del balletto avvenne il 21 Ottobre 1867 ed ebbe un successo ancora maggiore della prima produzione. Questo sarebbe stato l’ultimo lavoro di Mazilier per il balletto poiché morì di lì a poco, il 18 aprile del 1868. Dopo 81 rappresentazioni, il balletto, alla partenza della Grantzow, fu tolto dal repertorio dell’Opéra e non venne mai più rappresentato sulle scene parigine.

Mentre danzava Le Corsaire a Parigi, Adèle Granztow fu invitata a San Pietroburgo. Per l’occasione Petipa montò un allestimento totalmente nuovo del balletto nella speranza di ottenere lo stesso successo di Parigi. La Grantzow garantì che avrebbe danzato il Grand Pas de Fleurs e aiutò Petipa nel montare la coreografia di Mazilier ma fu molto stupita quando vide i consistenti cambiamenti fatti da Petipa. Non solo, egli cambiò anche il nome del pezzo in Le Jardin Animé, ed è con questo nome che il balletto è arrivato fino a noi. Le Corsaire debuttò all’inizio del 1868 ed ebbe così tanto successo che altre rappresentazioni di altri balletti dovettero essere cancellate per soddisfare le richieste del pubblico.
Nel 1885, Petipa presentò la terza revisione de Le Corsaire creata espressamente per la ballerina Evgenija Sokolova. Il coreografo rifece tutto ancora una volta e aggiunse dei brani di Léon Minkus (Primo Compositore del Balletto Imperiale di San Pietroburgo) al pezzo de Le Jardin Animé in sostituzione di quelli di Delibes.

L’ultima revisione di Petipa, e invero la più importante, venne fatta nel 1899 espressamente per la Prima Ballerina Assoluta Pierina Legnani che danzò Medora con Ol’ga Preobraženskaja nella parte di Gulnare e Pavel Gerdt in quella di Conrad.

Tatiana Melnik è la prima ballerina del Balletto Nazionale Ungherese. In precedenza ha fatto parte del Balletto Stanislavskij. Membro dell’Opera di Stato ungherese dal 2015 come Prima ballerina.
Istruzione e formazione: Accademia di coreografia, Perm (2006)
Concorsi: Concorso internazionale di balletto “Arabesque”: III. premio (2012) International Ballet Competition, Mosca: II. premio (2013)Attività professionale: Russian State Ballet, VM Gordeev (2006-2013) Stanislavsky e Nemirovich-Danchenko Moscow Academic Music Theatre (2013-2015) – solista.

Bakhtiyar Adamzhan Primo ballerino della Compagnia dell’Opera e del Balletto di AstanaNato nella città di Sary-Ozek nella regione di Almaty, si è formato presso l’Almaty Choreographic College intitolato a AV Seleznev (2003-2011). Dal 2011 al 2013 è stato solista presso l’Abay State Academic Theatre of Opera and Ballet. È entrato a far parte dell’Astana Opera come solista nel 2013 ed è stato nominato solista principale nel 2015. Danza ruoli principali in balletti tra cui Spartacus, Lo Schiaccianoci, Notre-Dame de Paris e Don Chisciotte. Bakhtiyar ha vinto numerosi premi, tra cui Gran Premi alle competizioni di balletto di Istanbul (2016), Seoul (2016), Astana (2016), New York (2017) e Mosca (2017).

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Rebecca Storani e Young Gyu Choi in “Le fiamme di Parigi” (pas de deux).

“Un mosaico di grande danza”, così il direttore artistico Daniele Cipriani ha definito il gala cult Les Étoiles che, ha visto, tra gli altri, una virtuosa interpretazione di questo pas de deux.

Il balletto in due atti, ambientato ai tempi della Rivoluzione francese, rivive sul palco con tutta l’esuberante energia e il talento di Rebecca Storani e Young Gyu Choi. Un imperdibile appuntamento consacrato alla musica, alla danza e alla storia, dove il coreografo Vasilij Vajnonen tornò alle origini del balletto per far rivivere alcuni dei più stupefacenti “pas de deux”. Su musiche di Boris Asafiev, l’amore e la libertà fluiscono in uno stesso movimento liberatorio di danza.

Nel creare la coreografia per questo balletto, Vainonen e Asafyev si sono ispirati a molte fonti. Fiamme di Parigi fonde ballate classiche con quelle popolari, pantomimo, esibizioni soliste e scene di gruppo.

Come ulteriore tecnica per riporre la danza classica in questo balletto, Vainonen inventò i ruoli di Mireille de Poitiers e Antoine Mistral, che sono invitati dal re ad esibirsi al banchetto con un pas de deux: il motivo di queste invenzioni è mostrare il loro virtuosismo nel ballare.

Durante la Rivoluzione Francese, Jeanne e suo fratello Jérome lasciano Marsiglia per andare a Parigi a supportare i rivoluzionari. Mentre combattono per la libertà, entrambi incontrano l’amore sulla loro strada.

Davvero pochi balletti possono propriamente rappresentare l’enorme flusso di energia e di fiera passione dei due danzatori in scena con l’accattivante revival di “The Flame of Paris”. Con potente virtuosità e alcuni dei più impressionanti pas de deux, Rebecca Storani e Young Gyu Choi mostrano un’armoniosa grazia che è contenuta a stento dal palcoscenico.

Rebecca Storani 24 anni, ballerina professionista di Narni, svolge con grande passione questa attività sin da quando era bambina. Ha sempre avuto una passione innata per la danza. Così, all’età di tre anni, i genitori decisero di portarla ad una scuola di danza a Terni. Il suo insegnante, Fabrizio Santella, vedendo le sue possibilità e la grande passione, decise di farle fare un provino. Fu così che, a 9 anni, entrò a far parte dell’Accademia Nazionale di Danza a Roma, entrando nel secondo corso preparatorio, ma, trascorso il primo anno, decisero di farle saltare il terzo ed ultimo e mandarla direttamente al primo corso normale, di otto anni totali. Furono anni di sacrifici: per cinque anni, ogni giorno, alla volta di Roma, dopo la scuola, dal pomeriggio alla sera. All’età di 11 anni un gravissimo incidente stradale mise a rischio i suoi sogni e la sua stessa vita. Con tantissimi punti in testa e in altre parti del viso, Rebecca decise di fare comunque gli stage estivi che aveva programmato.
I premi ed i riconoscimenti sono stati molteplici, fra questi, uno ‘speciale’ al Premio delle Belle Arti a Roma riconosciuto dal M.I.U.R. (2009), un altro ‘speciale’ come miglior interprete femminile al Premio Roma ed ancora il primo premio al concorso internazionale di Rieti e la posizione di finalista al Tanzolymp di Berlino (2010). Fu proprio in questo anno che ad uno stage ricevette un invito per andare a studiare alla scuola dell’Hamburg Ballett Schule di Amburgo. Partita da sola all’età di 14 anni per questa nuova esperienza, un anno dopo (2011) è tornata all’Accademia a Roma per completare gli studi. Ha continuato con molti stage e concorsi, per arricchire il più possibile il suo lavoro e studiare con maestri di scuole e tecniche diverse. Ha inoltre ricevuto un premio speciale come miglior talento italiano a Salerno, primi premi ai concorsi Danza Si, Shakespeare in dance, Mad for dance con un premio speciale come miglior talento del concorso (2012), sempre primi premi ai concorsi Unione della danza italiana, Mab concorso Maria Antonietta Berlusconi e di nuovo al concorso internazionale di Rieti, premio come miglior talento del Galà di Livorno e vincitrice dell’IbStage di Barcellona (2013). Quest’ultimo è stato un premio molto importante, perché diede una svolta decisiva alla sua vita. Sempre nel 2013 al concorso Shakespeare in dance, ha ricevuto oltre che il primo premio nella categoria passo a due, anche il primo contratto di lavoro come apprendista al SemperOper Ballet di Dresda, dove ha conosciuto molti coreografi e personaggi della danza. Dopo un altro anno di esperienza in Germania è entrata a far parte della nazionale portoghese nel 2015, Companhia Nacional de Bailado di Lisbona, spesso con ruoli da ballerina solista. Dopo due anni di lavoro a Lisbona, è entrata a far parte del Ballet de Catalunya di Barcellona nel 2017 con ruoli da ballerina principale e solista. E’ stata ospite ai galà in giro per il mondo ballando con primi ballerini e ballerini solisti, come Vadim Muntagirov, Igor Tskirvo (Bolshoi Ballet), Dmitry Zagrebin (Royal Swedish Ballet), Young Gyu Choi (Dutch National Ballet), Flavio Salamanka (Salzburg Theatre), Andras Ronai (Hungarian National Ballet), Leander Rebholz (Royal Danish Ballet) ed altri. Dopo altre produzioni, ci fu uno spettacolo creato apposta da un primo ballerino e coreografo del Dutch National Ballet di Amsterdam Remi Wortmeyer: ‘La ballerina di Picasso’, dove Rebecca interpretava il ruolo principale, ovvero la moglie di Picasso. Fra il pubblico c’era il direttore della compagnia nazionale olandese, che le offrì un contratto per entrare a far parte della sua compagnia. Entraò così ad Amsterdam nel Maggio del 2019 ed iniziò ad essere scelta per cast già molto importanti come solista e una volta da prima ballerina.

Young Gyu Choi ballerino sudcoreano è entrato a far parte del Dutch National Ballet nel 2011 come membro del corpo di ballo. Nel 2013 è stato promosso primo ballerino e successivamente solista. Ha poi ballato ruoli da protagonista in Don Chisciotte e Cenerentola, tra gli altri.

Ha ballato con il Korean National Ballet e l’Universal Ballet Korea, entrambi a Seoul. Su iniziativa di sua madre, ha iniziato a ballare all’età di otto anni. “Non ero proprio entusiasta, ma dopo alcune lezioni mi sono appassionato”, dice. All’età di dieci anni è stato ammesso al corso di danza classica presso la Sun Hwa Arts School in Corea e nel 2006 ha continuato la sua formazione presso la Tanz Akademie di Zurigo, in Svizzera.

Young ha ricevuto un numero impressionante di premi fino ad oggi. Al prestigioso International Ballet Competition di Varna, ha vinto il secondo premio nel 2006 e il primo premio nel 2010. Ha anche ricevuto il primo premio allo Youth America Grand Prix, a New York, nel 2007, e il primo premio al Boston International Competition di 2010. Ad Amsterdam, ha ricevuto l’Alexandra Radius Prize nel 2017. Dalla rivista britannica Dance Dance Europe , ha ricevuto la menzione d’onore “Outstanding performance by a male dancer” nell’Ottobre 2020.

Young si esibisce spesso anche come ballerino principale ospite con importanti compagnie internazionali.

Vasilij Vajnonen Ivanovič ballerino e coreografo russo (San Pietroburgo 1901-Mosca 1964). Allievo della scuola di ballo dei Balletti imperiali, dopo il diploma (1919) entrò a far parte della compagnia del Teatro accademico di Stato d’opera e di balletto (ex Mariinskij) dove eccelse come ballerino di carattere. Debuttò come coreografo negli anni Venti nel corso delle Serate del giovane balletto, che videro anche il debutto di G. Balanchine e L. M. Lavrovskij. Colse il primo grande successo con L’età dell’oro (1930) cui seguirono Le fiamme di Parigi (1932), Gayané (1957) e molti altri. La complessità e l’audace virtuosismo della sua tecnica compositiva e l’uso a fini drammatico-espressivi di elementi del vocabolario coreografico folclorico fanno di Vajnonen una figura chiave nell’evoluzione del balletto sovietico a lui contemporaneo.

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Dorothée Gilbert e Hugo Marchand in “Esmeralda”.

I due danzatori hanno dato vita, nell’ambito de Les Étoiles Gala Internazionale di Danza a cura di Daniele Cipriani, ad un armonioso passo a due di repertorio classico.

Hugo Marchand e Dorothée Gilbert si sono misurati con il passo a due tratto da “Esmeralda” di Petipa e Perrot, basato sul romanzo “Notre-Dame de Paris” di Victor Hugo, ma con un lieto fine molto ‘politicamente corretto’…
“Esmeralda”, è un balletto di repertorio classico, coreografato da Jules Perrot e musicato da Cesare Pugni. La trama si incentra sulla bella Esmeralda, affascinante gitana contesa dal cantastorie Gringoire e dall’arcidiacono Frollo, che sguinzaglia il gobbo Quasimodo per rapirla e tenerla prigioniera. All’atto del rapimento, però, la protagonista viene salvata da Phoebus, bellissimo soldato dal cuore gentile che risparmia Quasimodo su accorata richiesta di Esmeralda. L’incontro tra i due giovani risulta essere il fattore scatenante di un nuovo e possente amore, che spinge Phoebus a scappare con l’amata dopo essere stato lasciato da Fleur de Lys, delusa dal comportamento poco onesto del suo ormai ex promesso sposo. Giunti in una vecchia locanda, Phoebus ed Esmeralda si giurano amore eterno, noncuranti della presenza di Frollo nella stanza attigua. L’arcivescovo dunque, deciso a non lasciare la gitana a nessun altro, accoltella segretamente l’eroe con il pugnale di Esmeralda, accusandola poi il mattino seguente e condannandola quindi a morte. Il finale della storia vede Esmeralda sul punto di essere impiccata, salvata però dal provvidenziale intervento di Phoebus che, curato dalla pugnalata, racconta il vero susseguirsi degli eventi ed uccide, in una colluttazione, il malvagio Frollo.

La prima rappresentazione del balletto avvenne il 9 Marzo 1844, con la mirabile Carlotta Grisi capace di incantare il Her Majesty’s Theatre di Londra. Successivamente le rivisitazioni della coreografia interessarono molti celebri coreografi e ballerini: la versione più famosa è sicuramente quella di Marius Petipa, databile 1886 e messa in scena al Mariinkij di San Pietroburgo. Tra i più noti balletti del repertorio romantico, “La Esmeralda” è stato interpretato da numerose etoile femminili, tra cui la celebre Fanny Essler, acclamata protagonista della prima versione pietroburghese rimontata nel 1858 dallo stesso Perrot. Contributo fondamentale alla crescente celebrità della coreografia, inoltre, fu l’aggiunta di due pas de deux da parte di Petipa nella sua versione pietroburghese. La trama classicamente romantica, con un episodio negativo che non impedisce però al positivo finale di compiersi, si allinea perfettamente con il tentativo russo di proporre al popolo eroi positivi e vincenti, in una silenziosa ma precisa propaganda utilizzata dal regime zarista prima e da quello comunista poi, per inculcare nella mente della popolazione l’amore e l’abnegazione verso la loro Grande Madre Russa.

Dorotée Gilbert, étoile dell’Opéra di Parigi, stella del firmamento di uno dei teatri più prestigiosi al mondo.

Decisa, fin dalla tenera età, a raggiungere il più alto gradino della schiera gerarchica dell’Opéra, Dorothée è stata fin troppo franca nel dichiarare di non avere avuto tutte le qualità richieste ad una ballerina. Ha pubblicato senza problemi le pagelle non proprio brillanti dei suoi anni in accademia. Solo «la rabbia di arrivare» ed una tenacia fuori dal comune, unite ad un lavoro estenuante che non conosceva né Domeniche né vacanze, l’hanno fatta diventare quello che è oggi. Un isolamento dal mondo (studiava a scuola al mattino ed il resto del tempo lo passava a migliorarsi in sala da ballo) da fare traballare psicologicamente in poco tempo chiunque, un isolamento durato ben 6 anni (gli anni passati in accademia).

Passa dunque il messaggio che oggi sa quasi di antico: non importa se non hai le qualità richieste, se ti applichi e ti sfinisci di intenso lavoro, puoi realizzare il tuo sogno. Oggi, che moltissimi ragazzi sono quasi esclusivamente condizionati da YouTuber o influencers che solo in apparenza sembrano avere creato dal nulla un mestiere altamente redditizio, dal facile guadagno, vedo come uno sprone questo racconto. Sotto questo aspetto, l’Opéra è molto dura ma coerente con questo discorso, poiché, ad ogni esame di fine d’anno, non tutti passano al corso successivo e chi non passa é fuori dai giochi.

Hugo Marchand è entrato nella scuola di danza dell’Opera di Parigi nel 2007. Lo abbiamo visto ballare i passi immaginati da Nureyev, Ashton, Kylian, Neumeier, Carlson, Forsythe o Millepied, con grazia e forza espressiva. Il 3 Marzo 2017, mentre la Compagnia era in tour in Giappone con La Sylphide di Pierre Lacotte, Aurélie Dupont, direttrice di danza, lo ha nominato star alla fine dello spettacolo, premiando un solista preciso e sensible, dalla tecnica solida ed un ballo di qualità. È anche La Sylphide che chiuderà la stagione del Palais Garnier, una stagione che costituisce per Hugo Marchand il culmine di molti anni di lavoro e l’inizio di un bellissimo percorso da star in prospettiva.

“Decidere di ballare è stata una rivelazione spirituale, un bisogno fisico ed emotivo, un seme che germoglia … Abbiamo tutti la stessa ansia, quella di deperire fisicamente”, preoccupa Hugo Marchand. Perché per un ballerino di questo calibro l’esercizio deve essere quotidiano, si nota una giornata senza allenamento. E anche se l’autodisciplina è una qualità essenziale a questo livello, è necessario riuscire a motivarsi in condizioni tutt’altro che ottimali: librarsi, saltare, virare sono tutti movimenti che richiedono spazio e terreno adeguati. Si tratta quindi di fare il meglio organizzandolo in modo positivo. È così che Hugo Marchand, in epoca di Covid, si allena in videoconferenza con sette colleghi, sotto la direzione dell’ex ballerina Florence Clerc. Ogni giorno di questo confino, alle 11.00, il gruppo impone esercizi ad alta quota in mezzo ai tavoli da pranzo e ai divani in un’atmosfera di classe, dove le risate si mescolano all’energia e alla serietà della disciplina. Con un obiettivo imperturbabile, tornare in buona forma dopo la reclusione per restituire al pubblico questo incanto della danza.

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Foto: Massimo Danza

Anna Tsygankova e Constantine Allen in “Duet”.

Ad interpretare alcuni tra i duetti andati in scena nell’ambito de “Les Étoiles Gala Internazionale di Danza” a cura di Daniele Cipriani, ci sono state tra le étoile più appassionanti del momento come Anna Tsygankova e Constantine Allen.

“Les Étoiles Gala Internazionale di Danza” a cura di Daniele Cipriani, ha permesso di vedere concentrati in un unico spettacolo i brani più sensazionali del repertorio di tradizione, ad esempio passi a due tratti da Il lago dei cigni, Don Chisciotte, Il Corsaro, Diana e Atteone, insieme a brani dei grandi coreografi del Novecento come Balanchine, o altri di sofisticata modernità firmati da coreografi sulla cresta dell’onda oggi, come Christopher Wheeldon.
Ad interpretare alcuni tra questi duetti ci sono state tra le étoile (il termine francese che significa stella e con cui vengono tradizionalmente definite, appunto, le stelle del balletto) più appassionanti del momento, provenienti dai maggiori teatri del mondo.
“Sono come tante tessere di squisita fattura che, tutte insieme, formano un magnifico mosaico in movimento”, ha affermato Cipriani, sottolineando i “virtuosismi sulle punte e in volo” che sono diventati sinonimi di Les Étoiles e che non mancano mai di mandare in visibilio il pubblico. Ad eseguirli, nel caso specifico, Constantine Allen e Anna Tsygankova del Balletto Nazionale Olandese, compagnia più giovane, ma che, in mezzo secolo di esistenza, è divenuta una delle maggiori del mondo. E anche una delle più internazionali, tant’è vero che tutti i ballerini provenienti dalla compagnia di Amsterdam sono originari di quattro paesi (e tre continenti) diversi, tra cui anche l’Italia.
A coreografare i momenti di danza più memorabili, come detto, Christopher Wheeldon, ex ballerino britannico.
Wheeldon ha cominciato a studiare danza all’età di otto anni, prima di specializzarsi alla Royal Ballet School tra gli undici e i diciotto anni. Nel 1991 si unì al Royal Ballet e nello stesso anno vinse il Prix de Lausanne. Nel 1993, all’età di diciannove anni, si trasferì a New York dove si unì al New York City Ballet, in cui fu promosso solista nel 1998. Due anni dopo terminò di esibirsi come ballerino per dedicarsi esclusivamente all’attività di coreografo, intrapresa nel 1997.

Tra il 2001 e il 2008 fu il coreografo residente del New York City Ballet, per il quale coreografò numerosi balletti di grande successo di critica e pubblico. In parallelo all’attività a New York, Wheeldon coreografò opere per altre compagnie, tra cui il Royal Ballet, il San Francisco Ballet e il Balletto Bol’šoj. Nel 2006 ha fondato una propria compagnia, la Morphoses/The Wheeldon Company, che si è affermata su entrambe le sponde dell’Atlantico con frequenti rappresentazioni al New York City Center e al Sadler’s Wells di Londra.

Nel 2011 ha curato le coreografie per Alice nel Paese delle Meraviglie (Alice’s Adventures in Wonderland), il primo balletto originale commissionato dalla Royal Opera House in oltre vent’anni; il balletto fu accolto positivamente da critica e pubblico, tanto che nel 2014 Wheeldon coreografò un nuovo balletto per Covent Garden, The Winter’s Tale, tratto dall’omonimo romance di Shakespeare. The Winter’s Tale valse a Wheeldon il suo terzo Prix de Lausanne nel 2015, due anni dopo aver vinto il suo secondo Prix per la sua Cenerentola all’Het Nationale Ballet. Nel 2015 ha vinto il Tony Award alla miglior coreografia per il musical An American in Paris a Broadway.

Wheeldon è stato nominato Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico (OBE) nel 2016 New Year Honours per “servizi volti a promuovere gli interessi e la reputazione della danza classica e teatrale britannica in tutto il mondo”.

Wheeldon ha grande gusto unito ad una varietà notevole di strumenti coreografici. Sebbene si tratti di un balletto, il linguaggio del movimento è lontano dalla pura tecnica di esso. Il coreografo seleziona da una molteplicità di stili, generi e tecniche di danza. Vediamo elementi del balletto americano contemporaneo e del XX secolo nei dettagli angolari e geometrici che impreziosiscono i duetti stessi: piedi flessi, ginocchia piegate.

Wheeldon realizza idee di movimento che lo intrigano e le reinventa in qualcosa di completamente nuovo e incontaminato. Guardare la sua coreografia svolgersi sul balletto, suscita piccoli sospiri, cenni di riconoscimento, meraviglie e sorprese. I sui pas de deux sono squisiti. I ballerini si intrecciano e si srotolano in archi vorticosi e sinuosi di continuo movimento che non si sente forzato o prezioso ed emette sentimenti di ardente connessione.

L’attenzione meticolosa ai dettagli nella narrazione non si basa sulle tecniche del XIX secolo, ma su normali gesti conversazionali che dimostrano come il linguaggio del corpo, la postura e pochi gesti ben posizionati possano trasmettere idee ed emozioni complesse. Qui è dove Wheeldon è il migliore: illuminare una storia intricata e antica e infondervi nuova vita.

Anna Tsygankova nasce a Novosibirsk, in Russia, dove inizia la sua formazione e la sua carriera di ballerina.

Si forma presso l’Accademia di balletto di Novosibirsk e l’Académie de Danse Classique Princesse Grace di Monte Carlo. Sotto la guida di Raisa Struchkova, danza con il celebre Bolshoi Ballet, oltre che con il Balletto Nazionale Ungherese – dove si esibisce ancora regolarmente come artista ospite – e il Ballett der Wiener Staatsoper.

Nel 2007 si trasferisce ad Amsterdam dove entra a far parte del Balletto Nazionale olandese come prima ballerina.

Numerosi i premi e riconoscimenti già ottenuti. Prix de Lausanne, 1995 (medaglia d’argento), International Ballet Competition 1996 (medaglia di bronzo), Alexandra Radius Prize, 2007. La rivista Dance Europe l’ha nominata “ballerina eccezionale dell’anno 2010” per la sua performance “Sarcasmen” di Hans van Manen. Nel mese di aprile 2014, ha vinto il Grand Prix al Dance Open Festival di San Pietroburgo.

Sul trasferimento dalla Russia all’Olanda e su quanto questo abbia inciso sulle sue performance di danza, ha dichiarato:

“Lasciata la Russia, ho scoperto immediatamente uno stile meno teatrale che mi permetteva di esprimermi diversamente: un cambiamento drastico. Era come permettere al pubblico di vedere me stessa e i miei sentimenti senza filtri. Sul palco mostro me stessa senza aver paura di non essere abbastanza bella in certi momenti.

Sono felice dello stile russo delle mie braccia. In Europa, poi, ho iniziato a usare i miei piedi in modo diverso… e anche loro hanno iniziato a parlare. Ho scoperto che ogni muscolo del mio corpo può parlare. Non posso definirmi una tipica ballerina russa. Nemmeno una ballerina puramente occidentale. Ecco perché mi sento una sintesi fra stili diversi.”

Constantine Allen è nato a Indianapolis, negli Stati Uniti. Trasferitosi quasi subito alle Hawaii, ha apprezzato il musical Cats all’età di quattro anni. Rimase letteralmente incantato e quando calò il sipario, capì che voleva diventare un ballerino. Dall’età di cinque anni, ha preso lezioni di danza classica e poi ha studiato alla Pacific Ballet Academy di Honolulu e al Ballet Hawaii.

Nel 2007 ha vinto la medaglia di bronzo alle finali del Gran Premio americano della gioventù a New York e una borsa di studio per studiare alla Kirov Ballet Academy di Washington. Nel 2010 ha proseguito gli studi presso la John Cranko Schule di Stoccarda. Nel 2011, Constantine ha vinto il Grand Prix al concorso Tanzolymp di Berlino.

Dopo la laurea, nel 2012, è entrato a far parte dello Stuttgarter Ballett come membro del corpo di ballo. Sei mesi dopo, è stato promosso a solista e nel 2014 è stato promosso a primo ballerino. Nel 2017 è passato a Les Grands Ballets des Canadiens.

Nel Febbraio 2018, Constantine è stato ospite principale del Dutch National Ballet nel Don Chisciotte di Alexei Ratmansky. Sei mesi dopo, è entrato a far parte della compagnia come primo ballerino. La rivista britannica Dance Europe lo ha menzionato sia nel 2019 che nel 2020 nella sua annuale Critics ‘Choice, nella categoria ‘Outstanding performance by a male dancer ‘.

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Tommaso Beneventi, Rachele Buriassi e Giacomo Castellana in “Dance Macabre”.

“Eleonora Abbagnato con le Stelle Italiane nel Mondo”, Gala a cura di Daniele Cipriani, ha riunito sulla scena del Festival di Spoleto l’eccellenza italiana nel mondo.

Sono tantissimi gli artisti italiani impegnati nelle maggiori compagnie di danza del mondo: étoile, coreografi e giovani talenti che brillano nei più importanti teatri, dall’Opéra de Paris al New York City Ballet, dal’English National Ballet di Londra al San Francisco Ballet. Le loro biografie sono storie di tenacia e dedizione, segnate da svolte e spirito d’avventura. Nella loro danza c’è il racconto dell’emigrazione artistica italiana: viaggi individuali e vincenti verso l’eccellenza.
A queste eccellenze italiane nel mondo, che hanno conquistato il pubblico internazionale, è stata dedicata una serata-evento unica, ideata per il Festival dei Due Mondi. A guidare questo gruppo di stelle, Eleonora Abbagnato, protagonista di una delle più avvincenti storie di successo come artista italiana all’estero, oggi étoile di uno dei maggiori teatri del mondo, l’Opéra di Parigi, e direttrice del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma.
Il programma ha spaziato dal grande repertorio classico a brani firmati da grandi coreografi dei nostri tempi, fino alle creazioni originali di giovani autori italiani. Un’occasione per ammirare la danza che già conosciamo e amiamo, espressa ai massimi livelli tecnici e interpretativi, ma anche per scoprire un nuovo e originale segno coreografico, di matrice italiana, che sta maturando e crescendo nel mondo.
In questi scatti, possiamo ammirare alcuni attimi di “Danse Macabre”, brano sulle note di Saint-Saëns, appositamente creato per l’evento di Spoleto da Francesco Ventriglia, già direttore artistico del New Zealand Ballet, oltre che coreografo internazionale e direttore artistico aggiunto, oggi, del Ballet Nacional Sodre (Uruguay).
Splendidi ed intensi gli interpreti, Rachele Buriassi, già apprezzata solista del Boston Ballet, Giacomo Castellana, brillante solista dell’ Opera di Roma e Tommaso Beneventi, giovane talento del Royal Swedish Ballet.

“Danza Macabra” op. 40 (Danse macabre) è un breve poema sinfonico composto nel 1874 da Camille Saint-Saëns che nacque come Chanson (voce e pianoforte) e fu successivamente strumentata. La “Danse Macabre” è stata eseguita per la prima volta il 25 Gennaio 1874 ai Concerts Colonne di Parigi, dove qualche settimana prima era stato presentato il “Phaéton op. 39”, il secondo lavoro del genere di Camille Saint-Saëns.

Tra le numerose fonti d’ispirazione – la danza macabra, amata dall’iconografia medievale, fu già soggetto ispiratore di musiche (Totentanz di Liszt, ad esempio) e trasfigurazioni letterarie (come La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe) – il compositore si rivolse al poemetto grottesco scritto da Henri Cazalis sulla scorta della rinomata ballata di Goethe, che aveva creato una scena parodistica in cui la morte suonava un violino scordato in un cimitero.

La musica di Saint-Saëns non accoglie le ordinarie suggestioni demoniache ma prende le mosse dall’originale rilettura per cercare il “caratteristico” in una strumentazione ammiccante e spiritosa.

I dodici rintocchi della mezzanotte sono eseguiti pizzicando una corda d’arpa (quella del Re).

Si odono strani passi nel cimitero, riprodotti da un contrabbasso pizzicato e allora appare la Morte che suona il violino. Il violino della Morte, oltre ad avere la corda più alta “scordata” appositamente, suona anche in tonalità diversa: infatti esegue degli accordi di Mi minore, mentre il brano è in Mi maggiore. Questo tema, il tema del richiamo, rappresenta la Morte che accorda il violino.

Il tema A rappresenta i corpi dei defunti che si levano dalle tombe. Inizia con un’introduzione “spettrale” del flauto accompagnato dall’arpa per poi passare agli archi. Una terzina di timpani e riappare la Morte che comincia a suonare la sua lamentosa melodia con il suo violino scordato. Gli scheletri escono dalle tombe: sono rappresentati dal flauto e dopo la loro introduzione sulla scena riappare il violino della Morte. Avvolti in bianchi sudari si mettono a ballare forsennatamente: questa scena è descritta dal violino e dall’orchestra, sotto i rintocchi cadenzati del triangolo e dei timpani, tutti in fortissimo.

La danza vera e propria è formata da contrabbassi e violoncelli (sempre in fortissimo) che ripropongono il tema B inframmezzati da suoni “animaleschi” degli ottoni: le grida e le risa dei defunti. Nel quadro successivo riappare il tema A suonato dal violino scordato della Morte e a intervalli si presenta lo xilofono, una rappresentazione comica del rumore secco delle ossa degli scheletri che danzano. Il tema B diventa una fuga, una variazione sul famoso tema del Dies irae, suonato da tutta l’orchestra e poi presentato prima dai legni e poi dai tromboni. Un’altra variazione sul tema B: introduzione del violino, passaggio ai legni, ritorno al violino e ripresa da tutti gli archi. Il silenzio è rotto dalla Morte che riprende a suonare prima il tema A e poi il tema B, sotto forma di canone, presentato da violino, trombe e xilofoni. A questo segue un breve tema di passaggio eseguito dall’orchestra al completo, poi decrescere in un pianissimo: l’orchestra ripropone frammenti del tema A interrotti dal rullare in crescendo dei timpani. Il tema passa poi alle trombe.

Inizia un folle crescendo: gli archi imitano le folate del vento mentre il violino scordato suona di nuovo il tema A e il tema B (quest’ultimo variato): il crescendo arriva a un fortissimo, fatto dalla sovrapposizione del tema A suonato dagli archi e del tema B, riproposto dagli ottoni, il tutto scandito dall’assordante esplodere degli archi. Persino il vento (rappresentato ancora dagli archi) si unisce al coro degli spiriti (orchestra).

Improvvisamente si arresta tutto. Si sente solo un oboe, che rappresenta il canto del gallo, ovvero l’alba. Un rabbioso colpo di timpani e il tremolo d’archi segna la fine della ridda e la Morte, vinta dall’arrivo dell’alba, suona il tema conclusivo con il suo scordato violino. La scena (e la composizione) si conclude con un pizzicato d’archi.

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Foto: Massimo Danza

Dorothée Gilbert e Hugo Marchand in “Amovéo”.

Un altro intenso passo a due svoltosi nell’ambito de “Les Étoiles Gala Internazionale di Danza” a cura di Daniele Cipriani.

Hugo Marchand e Dorothée Gilbert, étoiles dell’Opéra di Parigi, hanno interpretato “Amovéo”, una magnifica coreografia di Benjamin Millepied, fluida composizione minimalista su musica di Philip Glass. Benjamin Millepied, ballerino e coreografo francese, marito dell’attrice americana Natalie Portman, ne ha realizzato anche i costumi coadiuvato da Paul Cox.

Il palcoscenico che ha ospitato la performance è quello del tradizionale gala internazionale di danza “Les Etoiles” curato da Daniele Cipriani, l’appuntamento tanto seguito dagli appassionati dell’arte coreutica.

Dorothée Gilbert, è nata il 25 Settembre 1983 a Tolosa. Dopo aver iniziato nel 1990 all’età di sette anni a ballare al Conservatorio di Tolosa, nel 1995 viene ammessa alla scuola di ballo dell’Opéra di Parigi e nel 2000 entra nel corpo di ballo. Viene nominata étoile il 19 novembre 2007, all’età di 24 anni, al termine di una performance alquanto insolita de “Lo Schiaccianoci”, unica per ambientazione e senza costumi, a causa di uno sciopero.
Acclamata per la sua impareggiabile tecnica e per la qualità del suo lavoro tipica della scuola francese, da allora è stata regolarmente invitata a serate di gala internazionali. All’inizio della sua carriera ha spesso diviso il palco dell’Opéra di Parigi nel balletto “Giselle” con un’altra giovane star, Mathias Heymann, ed anche durante i tour mondiali a Monaco e Tokyo.

Dorothée Gilbert presta regolarmente la sua immagine anche alla moda. “La moda mi piace, mi diverte e allo stesso tempo prendo sul serio questo ruolo”. Appare su riviste come L’Express Styles (fotografata con altri ballerini famosi da Philippe Robert nel 2008 e da Gianluca Fontana nel 2014), Madame Figaro o anche M le magazine du Monde (serie con ballerini famosi, fotografata da Sean & Seng nel 2015). Evoca così il suo interesse per il mondo della fotografia di moda: “Trovo affascinante il mondo della pubblicità, come credo tutte le donne. Mi piace la moda, mi piace quando le donne sono sublimate nelle foto, quando sono davvero evidenziate nei video. Lo trovo bellissimo, è come un’opera d’arte. E poi è sempre positivo per una donna vedersi bella. Non ci amiamo necessariamente ogni giorno. Vedersi ben composte, ben preparate, ben evidenziate, con una bella illuminazione, è piacevolissimo”.

Nel 2012 è diventata, dopo Marie-Agnès Gillot, la musa della maison Repetto e nel 2013 l’ambasciatrice del suo primo profumo. Giustifica così la sua scelta di collaborare con il brand: “Quando sei un primo ballerino, fuori dalla ristretta cerchia degli spettatori abituali, rimani anonimo. Diventare ambasciatore di Repetto mi rende visibile, ma rende anche visibile la danza. Più ne parliamo, meno cliché ci saranno”. È diventata anche il volto del marchio Piaget nel 2015.

Hugo Marchand, è nato il 7 Dicembre 1993 a Nantes. Ha iniziato a ballare all’età di 9 anni al Conservatorio di Nantes, dove ha beneficiato dell’insegnamento di Marie-Elisabeth Demaille, ex ballerina dei Ballets du Rhin. Ha continuato la sua formazione grazie all’orario flessibile del College Victor Hugo di Nantes e ha ottenuto la medaglia d’oro al Conservatorio di Nantes all’età di 13 anni. È stato ammesso alla scuola di ballo dell’Opéra di Parigi nel 2007 ed è entrato a far parte del corpo di ballo nel 2011. È stato promosso Coryphée nel 2014 e raggiunge il grado di premier danseur nel 2016. Il 3 Marzo 2017, al termine della performance de La Sylphide durante una tournée a Tokyo, è stato nominato primo ballerino da Aurélie Dupont, direttrice del balletto.

Ha interpretato i suoi primi ruoli importanti in “Lo schiaccianoci” di Rudolf Nureyev e “La storia di Manon” di Kenneth MacMillan. ha poi ballato nel ruolo di Solor in “La Bayadère” ed è Romeo in “Romeo e Giulietta” nel Marzo 2016. E’ Oberon nel “Sogno di una notte estiva” di Balanchine nel 2017 e James in “La Sylphide” di Pierre Lacotte a Marzo e Luglio 2017.

Oltre ai balletti classici, Hugo Marchand si distingue anche nel repertorio contemporaneo: “The Anatomy of Sensation” di Wayne McGregor, “Clear, Loud, Bright, Foward” e “La nuit s’achève” di Benjamin Millepied, “Blake Works I” e “Herman Schmerman” di William Forsythe, “Sinfonia di Salmi e Catrame e Piume” di Jiří Kylián, “Variazioni Goldberg” di Robbins e “Thème et Variations”, “Duo Concertant”, “La Valse e Violin Concerto” di Balanchine.

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Foto: Massimo Danza

Eleonora Sevenard e Denis Rodkin: “Il Lago dei Cigni”, Pas de deux del Cigno Nero, III atto.

Il lago dei cigni costituisce un capolavoro di coerenza stilistica; tuttavia, dopo la revisione di Drigo e Petipa, è nel III atto che tutto cambia, in corrispondenza dell’apparizione di Odile (il cigno nero).

Arrivano dal prestigioso Teatro Bolshoi di Mosca, Eleonora Sevenard e Denis Rodkin: sono la coppia romantica del momento, recentemente ritratti insieme sulla copertina di un noto magazine italiano. Russi entrambi, giovani e bellissimi… L’amore è seduzione e inganno nel “Pas de deux del Cigno Nero” (coreografia di Marius Petipa, musica di Piotr Ilič Čaikovskij), tratto da Il lago dei cigni, uno dei più famosi ed acclamati balletti del XIX secolo.
Il libretto è ispirato a una fiaba popolare la cui vicenda di base è diffusa in molti paesi europei e racchiude tutta la meraviglia dei simbolismi, che in età romantica si accompagna a personaggi mitici e un chiaro intento morale. Il risultato della collaborazione tra gli artisti è un balletto indimenticabile dai caratteri molto ben marcati: una fanciulla trasformata in cigno bianco in seguito a una maledizione (Odette), un principe (Siegfried), un cigno nero malvagio (Odile), figlio d’uno stregone (von Rothbart); la lotta del bene contro il male e un finale alterno che si gioca tra il trionfo dell’amore e quello della morte.
Il palcoscenico che ha visto rappresentato il ‘passo a due’ è stato quello dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, che ha accolto “Les Étoiles Gala Internazionale di Danza” con la direzione artistica di Daniele Cipriani.
Il lago dei cigni costituisce un capolavoro di coerenza stilistica; tuttavia, dopo la revisione di Drigo e Petipa, è nel III atto che tutto cambia, in corrispondenza dell’apparizione di Odile (il cigno nero); estetica, danza, scelte musicali (incluse alcune nuove inserzioni e interpolazioni rispetto ai numeri originali) producono una svolta di 180 gradi al fine di preparare il momento cuspide del balletto.
Mentre nel II atto i personaggi sulla scena si limitano ai cigni, Odette e il principe, che esaltano l’estetica del bianco quale colore dominante, e la musica si concentra su di un’atmosfera di lirica serenità, in quello successivo si alternano sin dall’inizio fastose scene corali e scontri drammatici dei caratteri individuali (la musica accompagna prodigiosamente la nuova situazione drammaturgica, ma è necessario ricordare che quasi tutti i numeri musicali previsti per il famoso Pas de deux di questo atto in realtà furono composti da Chaikovsky per l’analogo Pas des deux del I atto: furono Petipa e Drigo a trasferirli a questo punto).
Il III atto è il momento in cui subentra l’elemento diabolico e magico del cigno nero: il contrasto rispetto ai quadri precedenti si fa evidente, con uno scontro bianco-nero che resta dominante fino alla fine.
Il cambiamento più notevole nella struttura musicale riguarda, come si è già accennato, il Grand Pas des deux del III atto, ossia il momento in cui il Cigno nero (Odile) si esibisce in voluttuose e funamboliche variazioni al fine di avvincere Siegfried e allontanarlo da Odette.
Drigo, oltre ad aggiungere una nuova coda al Grand Adagio e a interpolare altri materiali di Chaikovsky, rivide completamente l’orchestrazione. Non si trattò affatto di una banalizzazione, giacché Drigo cercò di tradurre in musica (rivisitata o sua) il progetto coreografico di Petitpa, che a sua volta aveva sfruttato tutte le risorse della partitura originale. Per esempio, nella coreografia del Pas des deux di Petipa non sono previsti movimenti di cigno per Odile: il personaggio doveva, più che imitare le movenze di Odette, far gioco sulle proprie abilità di incantatrice, lontane dalla mimesi del nobile animale. Anche nell’ambito coreografico i dati della tradizione sono molto complessi: Petipa scrisse la coreografia di questa struttura intitolandola Pas de deux à quatre demi d’action, per poi concentrarsi sulle variazioni femminili di Odile, interpretata da Pierina Legnani. Le variazioni maschili, invece, furono scritte direttamente dal primo interprete, come si usava all’epoca; non è accertato, comunque, che quelle fissate da Alexander Gorsky (partner della Legnani) nel 1899 corrispondano a quelle offerte alla prima del 1895. Un dato è certo: le Variazioni del Principe Sigfrido che ancora oggi si eseguono nella maggior parte dei teatri del mondo, si attribuiscono a Vakhtang Chabukiani, che per primo le interpretò nel 1932 (secondo alcuni studiosi è anche possibile che le avesse apprese da Gorsky).
Comunque sia, l’esito più spettacolare del Grand Pas des deux furono – e continuano a essere – i 32 fouettés en tournant, che Pierina Legnani eseguì per prima su di un palcoscenico russo. Già nel 1895 ella aveva introdotto la successione di 32 fouettés nella Cenerentola di Enrico Cecchetti e Lev Ivanov del 1893. Evidentemente Petipa intuì che a conclusione del Pas des deux del Lago dei cigni era necessario un numero di prodigiosa bravura e dall’esito spettacolare che soltanto questo ritrovato poteva conseguire, anche per evidenziare il carattere diabolico del cigno nero (fouetté significa letteralmente “colpo di frusta”: è lo slancio che permette al corpo di continuare a girare su sé stesso. Lo stesso slancio deve essere equilibrato, perché se è eccessivo può sbilanciare il movimento. La forza di base risiede nella caviglia, che per 32 volte sale e scende in corrispondenza dello slancio e del movimento rotatorio). Le ballerine dell’epoca offrivano spesso 12 o 14 giri, che già costituiscono una prova virtuosistica notevole; ma la Legnani stracciò tutto questo raggiungendo il numero di 32. Secondo Alexander Shiryaev, inoltre, ella si produsse in “arabesque fouettés”, vale a dire che eseguì i giri nella modalità en dedans (letteralmente “in dentro”: la gamba libera dal peso del corpo descrive un semicerchio con la punta, iniziandolo dietro e finendolo davanti) e non en dehors come si eseguono oggi (letteralmente “in fuori”: la gamba libera dal peso del corpo descrive un semicerchio con la punta iniziandolo davanti e finendolo dietro).
Visto che il III atto è il momento chiave dell’azione, e visto che – al tempo stesso – non esiste una versione autentica riconducibile al compositore e al coreografo della première, risulta di conseguenza che ogni nuovo coreografo tenda a rielaborare, se non a ricostruire sensibilmente, una personale fisionomia del III atto, a partire dal montaggio dei pezzi e delle relative variazioni. Per tutto questo, è di grande interesse analizzare le versioni di alcuni coreografi, elaborate per le compagnie di più lunga tradizione e di più celebrato prestigio.

Eleonora Sevenard stella nascente tra le ballerine della sua generazione è Solista del Teatro Bolshoi di Mosca. Bellezza delicata dallo sguardo conturbante, talento artistico appena sbocciato, in Russia “Elya” è una celebrity: per la sua discendenza da Matilda Kshesinskaya, “la ballerina dello zar”, e per il suo legame sentimentale con Denis Rodkin, avvenente Primo ballerino del Teatro Bolshoi. Coppia di scena e di vita, protagonisti della mondanità artistica moscovita, i due si sono fatti notare anche a Roma, dove hanno danzato al Gala internazionale di danza Les Étoiles di Daniele Cipriani: folla di fans e fotografi ad attenderli alla stage door dell’Auditorium Parco della Musica e poi ospiti della Fondazione Alda Fendi “Esperimenti” per un ricevimento dopo spettacolo. Un incontro segnato dal destino quello tra i due ballerini, avvenuto la prima volta molti anni fa, quando lei era ancora allieva – fuoriclasse – dell’Accademia Vaganova di San Pietroburgo.
Eleonora iniziò a ballare per gioco, all’età di 3 anni, a 9 entrò in accademia per volere della madre che adorava il balletto. Non era la migliore, fino al 5° anno di corso, quando le prese una sorta di orgoglio ad ottenere il massimo. Il direttore la notò e le diede molte occasioni: danzò a Parigi, Tokyo, Londra, anche ad un Gala di scuole al Teatro alla Scala. Proprio durante uno spettacolo di fine anno Denis la vide ballare: aveva solo 15 anni, lui era già famoso. Denis ed Eleonora si ritrovano quando lei, appena diplomata, entra al Balletto Bolshoi. Erano con la compagnia in Grecia con Lo Schiaccianoci e Eleonora sostituì la sua partner infortunatasi. Si sa com’è: in tournée si passa tanto tempo insieme, provando gli spettacoli e visitando le città. È così che Eleonora e Denis si sono innamorati. Una scelta felice: sin dalla prima stagione le furono affidati ruoli da solista e via via da protagonista.
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Foto: Massimo Danza