Damiano Ottavio Bigi in “Approaching the lighthouse”.

Eleonora Abbagnato con le stelle italiane nel mondo, ha dato spazio all’omaggio a Pina Baush, indiscutibile Signora della danza del nostro tempo, scomparsa nel 2009 all’età di 68 anni.

Il programma del galà internazionale, curato da Daniele Cipriani, spazia dal grande repertorio classico a brani firmati da grandi coreografi contemporanei, fino alle creazioni originali di giovani autori italiani. Un’occasione per ammirare le performance di danza che già conosciamo e amiamo, espresse ai massimi livelli tecnici e interpretativi, ma anche per scoprire una nuova e originale tendenza coreografica, di origine italiana, che sta maturando e crescendo nel mondo.

E con questo intento, Pina Bausch, indiscutibilmente compianta Signora della danza del nostro Tempo, è stata omaggiata con lo spettacolo Approaching the lighthouse, che ha visto protagonista, in scena, con delle proprie creazioni coreografiche, l’italiano Damiano Ottavio Bigi.
Un assolo, a livello stilistico e interpretativo perfetto nell’ accomunare i confini della danza, travalicando quelli del teatro. Bigi, infatti, propone se stesso in una figura che va al di là dell’essere umano, un’entità artistica alla ricerca – inizialmente plausibile, poi quasi disperata – di una performance che gli renda giustizia.

Una rappresentazione così meta-performativa da risultare davvero sincera, sebbene pensata e minuziosamente collezionata per la messinscena del teatro. Il dialogo diretto col pubblico, in particolar modo, è la fonte principale del dubbio nascente nella mente dello spettatore: «sta improvvisando o ha davvero bisogno di essere rassicurato sull’andamento della performance e delle scelte coreografiche prestabilite?».

La verità non conta, perché l’escamotage funziona e lo sguardo del pubblico non si distrae nemmeno per un attimo.La fluidità dei gesti nelle sequenze danzate è a dir poco ipnotica, come se il danzatore volesse aggrapparsi all’aria per fluttuarvi, per evadere da quel bisogno di performare che lo imprigiona in se stesso, che lo travolge in una buia tempesta, frastornata da suoni terrorizzanti, nella quale si sente perso e desideroso di “ritrovare la luce”.

Ed è proprio con questa che la performance si conclude: una lampadina, piantata al vertice di un’asettica asticella, illumina il boccascena come una fiamma nel cuore dell’oblio, in cui il protagonista appare ancora più solo, vagabondo in un cammino che non sa dove andrà a finire.

Damiano Ottavio Bigi è nato a Roma nel 1982. Nel 1991 inizia a studiare danza classica nella scuola di Nabila El Kattam (Roma) e in seguito presso la scuola dell’Opera di Roma. Nel 1996 si trasferisce in Francia dove inizia anche una formazione di danza contemporanea nel Centre International Rosella Hightower (Cannes). Termina i suoi studi nel Centre National de Danse Contemporain d’Angers. Lavora con coreografi di prestigio come: Joelle Bouvier, Claude Brumachon y Benjamin Lamarche (Centro Coreográfico Nacional de Nantes), Cyrill Davy (Francia), Abou Lagraa (Francia) y Alvaro Restrepo (Colombia).Dal 2006 fa parte del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, compagnia con la quale partecipa al film “Pina” di Wim Wenders.Dal 2006 Lavora come coreografo e tiene dei laboratori in diversi paesi.

Pina Bausch, tra le più importanti e note coreografe mondiali, ha diretto dal 1973 il Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, con sede a Wuppertal, in Germania. Il suo nome è legato al termine Tanztheater (teatrodanza), adottato negli anni ’70 da alcuni coreografi tedeschi – tra cui la stessa Bausch – per indicare un preciso progetto artistico che intende differenziarsi dal balletto e dalla danza moderna, che include elementi recitativi, come l’uso del gesto teatrale e della parola, con precise finalità drammaturgiche.Inizia la carriera artistica da adolescente, esibendosi in piccoli ruoli di attrice nel teatro di Solingen, la città natale. In seguito si trasferisce a New York, grazie ad una borsa di studio. Perfeziona la sua tecnica alla Juilliard School. Successivamente viene scritturata, come ballerina, dal New American Ballet e dal Metropolitan Opera House. Nel 1962, dopo il rientro in Germania, che la vede impegnata ancora come danzatrice, Pina Bausch inizia nel 1968 a comporre le prime coreografie per il corpo di ballo della sua prima scuola, la Folkwang Hochschule di Essen fondata da Kurt Jooss, che dirigerà dall’anno successivo.Nel 1973 fonda il Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, cambiando nome al già esistente corpo di ballo di Wuppertal. I suoi spettacoli riscuotono fin da principio un indiscusso successo, accumulando riconoscimenti in tutto il mondo. I primi lavori sono ispirati a capolavori artistici, letterari e teatrali, come ad esempio Le sacre du printemps del 1975. Con Café Müller (1978), uno dei suoi spettacoli più celebri, composto sulle musiche di Henry Purcell, si assiste ad una svolta decisiva nello stile e nei contenuti. Mentre le prime opere sono animate da una dura critica alla società consumistica e ai suoi valori, le opere più mature approfondiscono sia il contrasto uomo-società, sia la visione intima della coreografa e dei suoi danzatori, che sono chiamati direttamente ad esprimere le proprie personali interpretazioni dei sentimenti.Pina Bausch muore di cancro ai polmoni il 30 Giugno 2009 all’età di 68 anni.La novità del suo lavoro non consiste tanto nell’invenzione di nuove forme e nuovi gesti, da riprodurre uguali a se stessi, quanto nell’interpretazione personale della forma che si vuole rappresentare, entrambe sostenute dal concetto basilare del rapporto (che è della danza così come di ogni forma di vera arte) tra fragilità e forza. I danzatori sono chiamati alla creazione delle pièces (che Bausch denomina stück) attraverso l’improvvisazione generata dalle domande che la coreografa pone loro. Per questo motivo gli interpreti della compagnia della Bausch vengono spesso denominati con il neologismo di danzattori. Infatti essi non ricoprono solamente il ruolo di danzatori, ma anche quello di attori e di autori dell’opera.

Un altro elemento di novità è costituito dall’interazione tra i danzatori e la molteplicità di materiali scenici di derivazione strettamente teatrale – come le sedie del Café Müller– che la Bausch inserisce nelle sue composizioni. Da citare anche il legame interpersonale che seppe sempre intrecciare coi suoi allievi, basato su un rapporto di reciproco rispetto e di affetto mai gridato ma profondissimo. Lo si evince anche dall’intenso film-documentario Pina dedicatole da Wim Wenders nel 2011 e presentato al 61º Festival di Berlino.

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Foto: Massimo Danza

Tommaso Beneventi, Rachele Buriassi e Giacomo Castellana in “Dance Macabre”.

“Eleonora Abbagnato con le Stelle Italiane nel Mondo”, Gala a cura di Daniele Cipriani, ha riunito sulla scena del Festival di Spoleto l’eccellenza italiana nel mondo.

Sono tantissimi gli artisti italiani impegnati nelle maggiori compagnie di danza del mondo: étoile, coreografi e giovani talenti che brillano nei più importanti teatri, dall’Opéra de Paris al New York City Ballet, dal’English National Ballet di Londra al San Francisco Ballet. Le loro biografie sono storie di tenacia e dedizione, segnate da svolte e spirito d’avventura. Nella loro danza c’è il racconto dell’emigrazione artistica italiana: viaggi individuali e vincenti verso l’eccellenza.
A queste eccellenze italiane nel mondo, che hanno conquistato il pubblico internazionale, è stata dedicata una serata-evento unica, ideata per il Festival dei Due Mondi. A guidare questo gruppo di stelle, Eleonora Abbagnato, protagonista di una delle più avvincenti storie di successo come artista italiana all’estero, oggi étoile di uno dei maggiori teatri del mondo, l’Opéra di Parigi, e direttrice del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma.
Il programma ha spaziato dal grande repertorio classico a brani firmati da grandi coreografi dei nostri tempi, fino alle creazioni originali di giovani autori italiani. Un’occasione per ammirare la danza che già conosciamo e amiamo, espressa ai massimi livelli tecnici e interpretativi, ma anche per scoprire un nuovo e originale segno coreografico, di matrice italiana, che sta maturando e crescendo nel mondo.
In questi scatti, possiamo ammirare alcuni attimi di “Danse Macabre”, brano sulle note di Saint-Saëns, appositamente creato per l’evento di Spoleto da Francesco Ventriglia, già direttore artistico del New Zealand Ballet, oltre che coreografo internazionale e direttore artistico aggiunto, oggi, del Ballet Nacional Sodre (Uruguay).
Splendidi ed intensi gli interpreti, Rachele Buriassi, già apprezzata solista del Boston Ballet, Giacomo Castellana, brillante solista dell’ Opera di Roma e Tommaso Beneventi, giovane talento del Royal Swedish Ballet.

“Danza Macabra” op. 40 (Danse macabre) è un breve poema sinfonico composto nel 1874 da Camille Saint-Saëns che nacque come Chanson (voce e pianoforte) e fu successivamente strumentata. La “Danse Macabre” è stata eseguita per la prima volta il 25 Gennaio 1874 ai Concerts Colonne di Parigi, dove qualche settimana prima era stato presentato il “Phaéton op. 39”, il secondo lavoro del genere di Camille Saint-Saëns.

Tra le numerose fonti d’ispirazione – la danza macabra, amata dall’iconografia medievale, fu già soggetto ispiratore di musiche (Totentanz di Liszt, ad esempio) e trasfigurazioni letterarie (come La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe) – il compositore si rivolse al poemetto grottesco scritto da Henri Cazalis sulla scorta della rinomata ballata di Goethe, che aveva creato una scena parodistica in cui la morte suonava un violino scordato in un cimitero.

La musica di Saint-Saëns non accoglie le ordinarie suggestioni demoniache ma prende le mosse dall’originale rilettura per cercare il “caratteristico” in una strumentazione ammiccante e spiritosa.

I dodici rintocchi della mezzanotte sono eseguiti pizzicando una corda d’arpa (quella del Re).

Si odono strani passi nel cimitero, riprodotti da un contrabbasso pizzicato e allora appare la Morte che suona il violino. Il violino della Morte, oltre ad avere la corda più alta “scordata” appositamente, suona anche in tonalità diversa: infatti esegue degli accordi di Mi minore, mentre il brano è in Mi maggiore. Questo tema, il tema del richiamo, rappresenta la Morte che accorda il violino.

Il tema A rappresenta i corpi dei defunti che si levano dalle tombe. Inizia con un’introduzione “spettrale” del flauto accompagnato dall’arpa per poi passare agli archi. Una terzina di timpani e riappare la Morte che comincia a suonare la sua lamentosa melodia con il suo violino scordato. Gli scheletri escono dalle tombe: sono rappresentati dal flauto e dopo la loro introduzione sulla scena riappare il violino della Morte. Avvolti in bianchi sudari si mettono a ballare forsennatamente: questa scena è descritta dal violino e dall’orchestra, sotto i rintocchi cadenzati del triangolo e dei timpani, tutti in fortissimo.

La danza vera e propria è formata da contrabbassi e violoncelli (sempre in fortissimo) che ripropongono il tema B inframmezzati da suoni “animaleschi” degli ottoni: le grida e le risa dei defunti. Nel quadro successivo riappare il tema A suonato dal violino scordato della Morte e a intervalli si presenta lo xilofono, una rappresentazione comica del rumore secco delle ossa degli scheletri che danzano. Il tema B diventa una fuga, una variazione sul famoso tema del Dies irae, suonato da tutta l’orchestra e poi presentato prima dai legni e poi dai tromboni. Un’altra variazione sul tema B: introduzione del violino, passaggio ai legni, ritorno al violino e ripresa da tutti gli archi. Il silenzio è rotto dalla Morte che riprende a suonare prima il tema A e poi il tema B, sotto forma di canone, presentato da violino, trombe e xilofoni. A questo segue un breve tema di passaggio eseguito dall’orchestra al completo, poi decrescere in un pianissimo: l’orchestra ripropone frammenti del tema A interrotti dal rullare in crescendo dei timpani. Il tema passa poi alle trombe.

Inizia un folle crescendo: gli archi imitano le folate del vento mentre il violino scordato suona di nuovo il tema A e il tema B (quest’ultimo variato): il crescendo arriva a un fortissimo, fatto dalla sovrapposizione del tema A suonato dagli archi e del tema B, riproposto dagli ottoni, il tutto scandito dall’assordante esplodere degli archi. Persino il vento (rappresentato ancora dagli archi) si unisce al coro degli spiriti (orchestra).

Improvvisamente si arresta tutto. Si sente solo un oboe, che rappresenta il canto del gallo, ovvero l’alba. Un rabbioso colpo di timpani e il tremolo d’archi segna la fine della ridda e la Morte, vinta dall’arrivo dell’alba, suona il tema conclusivo con il suo scordato violino. La scena (e la composizione) si conclude con un pizzicato d’archi.

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Foto: Massimo Danza

Simone Repele e Sasha Riva in “L’uccello di fuoco” per la coreografia di Marco Goecke

Proseguono i reportage tratti dal Gala Internazionale di danza, “Eleonora Abbagnato con le stelle Italiane nel mondo”, a cura di Daniele Cipriani, svoltisi a Spoleto nel Giugno 2019.

Nel Febbraio 1909, Sergey Pavlovich Diaghilev (1872 – 1929) ebbe l’occasione di sentire due brevi, ma brillanti lavori per orchestra del giovane Igor Stravinskij (1882 – 1971), ad un concerto a Sanpietroburgo.

Impressionato dal promettente compositore, Diaghilev, geniale impresario dei Ballets Russes, gli commissionò alcuni arrangiamenti per la sua stagione estiva a Parigi.

Per la stagione del 1910, chiese una nuova partitura musicale per un balletto completo, l’Uccello di Fuoco. Diaghilev era un grande talent scout e un visionario che cercava di promuovere la collaborazione tra le arti. Fondò i Ballets Russes nel 1909, raggruppando una mirabile collezione di talenti da Picasso a Debussy e Cocteau.

La coreografia venne affidata a Michel Fokine (1880 – 1942), di origine russa, autore del libretto tratto da una fiaba russa.

Il giovane principe Ivan si trova nel terribile regno dell’orco Kashchei, l’immortale entità del male puro, che imprigiona le donne e trasforma gli uomini in pietra. Senza rendersi conto del pericolo, Ivan incontra un bellissimo Uccello di Fuoco mentre vaga nel giardino incantato di Kashchei. Colpito dalla bellezza dell’Uccello, gli ruba una penna e scappa.
Incontra 13 donzelle, e lui si innamora passionalmente di una di loro. La mattina, quando le donzelle imprigionate da Kashchei sono costrette dalla magia dell’orco a tornare al suo castello, Ivan le segue.
Viene catturato dai servi mostruosi di Kashchei, e sta per essere trasformato in pietra. Brandisce la penna magica che richiama l’Uccello di Fuoco. Gli racconta il segreto dell’immortalità di Kashchei: la sua anima, a forma di uovo, che tiene in un cofano, deve rimanere intera.
Ivan apre il cofano e spacca l’uovo; il mostro muore, le sue magie si dissolvono, e tutti coloro che aveva catturati sono liberati. La donzella di cui si era innamorato, la principessa Tsarevna, e il principe si sposano.

Fokine aveva iniziato la sua carriera lavorando in un rinnovato stile classico (Les Silfides, La Morte del Cigno). In seguito ha subito l’influenza della “danza libera” della grande danzatrice americana Isadora Duncan (1877 – 1927).
Duncan ricercava un nuovo stile di danza, lontano da quella accademica, dove movimenti liberi e fluidi, ispirati a fenomeni naturali come il mare o il vento, esprimono stati emotivi. Era attratta dagli ideali di bellezza dell’antica Grecia e ballava a piedi nudi, con i capelli fluenti, vestita con una tunica come quella che si vede dipinta sui vasi greci.
Con l’Uccello di Fuoco emerge uno stile nuovo, libero dal classicismo, libero nel movimento, nell’uso del palcoscenico, nella durata (più breve rispetto a quella dei grandi balletti classici).

Fokine rifiutava la simmetria formale del balletto classico, perché la trovava deleteria al dramma; usava gruppi meno rigidi e artificiali, più vicini alla realtà e più naturali che si trasformano: da artificio ornamentale diventano un potente forza drammatica.
Lo stile vigoroso e i passi atletici, prese dalle danze folcloristiche russe, sono stati incorporati in tutta la coreografia, un’altra innovazione rispetto ai balletti dell’ottocento, in cui erano relegati alle parti “di carattere”, a se stanti.

La partitura musicale è frutto di un rapporto di stretta collaborazione tra Fokine e Stravinskij, stilato dopo lunghe e dettagliate discussioni.

Sin dalla prima rappresentazione nell’estate del 1910, l’Uccello di Fuoco è stato uno strepitoso successo, rendendo immediatamente famoso Stravinskij, riconosciuto come uno dei più grandi compositori per il balletto.

Nel 20° secolo la musica è diventata via via più importante nei balletti, raggiungendo la stessa importanza della coreografia, mentre nel 19° secolo era poco più che un abbellimento e un sopporto ritmico al movimento. L’Uccello di Fuoco ha aperto la strada verso questo rinnovamento.

Le coreografie magnifiche (ed è anche poco) come L’Uccello di Fuoco di Marco Goecke, tra i più apprezzati sulla scena internazionale, hanno dato lustro a Sasha Riva e Simone Repele, i meravigliosi artisti del Ballet du Grand Théâtre de Geneve.
Eccoli insieme in queste bellissime immagini con alcuni estratti dalle loro intense esibizioni.

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Foto: Massimo Danza

Francesco Gabriele Frola e Katja Khaniukova ne “Il Corsaro”- Pas de deux “Camera da letto”

“Eleonora Abbagnato con le stelle Italiane nel mondo” – Gala internazionale di danza a cura di Daniele Cipriani.

Il genio romantico di Marius Petipa ha dato vita a due coreografie emblematiche “Il Lago dei cigni” e “Il Corsaro” (suite) .

“Il Corsaro”, in particolare, comprende le quattro più famose scene della celebre opera: Il Pas D’Esclave, le Odalische, la Camera da letto Pas de deux e Il Corsaro pas de deux.

Nello specifico, Francesco Gabriele Frola e Katja Khaniukova hanno dato vita al pas de deux “Camera da letto”.

Storia di un magnifico naufragio “Le Corsaire”, balletto in tre atti, debuttò il 23 Gennaio del 1856 all’Opéra di Parigi, interpretato dall’acclamatissima danzatrice italiana Carolina Rosati, allora prima ballerina incontrastata dell’Opéra, e dal famoso mimo italiano, Domenico Segarelli, poiché originariamente la parte del Corsaro non era ballata.

Il balletto, basato sul poema “The Corsair” di Lord Byron del 1814, fu musicato da Adolphe Adam, con le coreografie di Joseph Mazilier. Negli anni a seguire però, “Le Corsaire” subì, in Russia, consistenti revisioni drammaturgiche, coreografiche e musicali che portarono inevitabilmente alla nascita di numerose versioni.

“Le Corsaire” fu concepito principalmente per mettere in risalto le doti di Carolina Rosati, celebrata per la sua bellezza e per la sua precisione tecnica sulle punte e nelle batterie, doti alle quali si associava anche una buona mimica.
Ad Adolph Adam, allora migliore compositore di opere e di balletti in Francia, si pensi al suo successo con Giselle, vennero riconosciuti i diritti e un’ingente somma di denaro. Il debutto de “Le Corsaire” riscosse un notevole successo sia per la partitura che per l’interpretazione della Rosati nei panni dell’eroina Medora, che appassionò e catturò tutto il pubblico parigino.

Un altro aspetto che rese acclamatissima la prima francese, furono gli effetti teatrali della scenografia, mai visti sul palcoscenico dell’Opéra fino ad allora, ideati dal macchinista Victor Sacré. Da quel momento effetti ancora più imprevedibili vennero sperimentati sulle scene russe. Per la scena del naufragio del terzo atto, ad esempio, fu sorprendente la macchinazione di Andrei Roller, maestro di effetti teatrali, che al Bolshoi stupì tutto il pubblico in sala tra cui anche l’imperatrice Eugénie, usando effetti elettro-galvanici per riprodurre i fulmini della tempesta. De “Le Corsaire” di Mazilier, ebbe notevole successo anche l’orchestrazione intensa e colma di drammaticità di Adam il quale venne a mancare, purtroppo, qualche mese dopo il debutto. Il 4 Maggio del 1856, giorno dopo la sua morte, l’Opéra dette una rappresentazione de “Le Corsaire” in sua commemorazione devolvendo alla moglie tutti gli incassi.

“Le Corsaire” parigino fu così un tale successo che, dopo la prima, il balletto andò in scena altre 43 volte nello stesso anno, sempre con l’insuperabile interpretazione della Rosati nelle vesti di Medora. “Le Corsaire” era ormai legato al suo nome tanto che quando, tre anni più tardi, la danzatrice italiana lascerà l’Opéra, sarà tolto dalle programmazioni. Anche per il coreografo il balletto rappresentò un memorabile addio alle scene. Joseph Mazilier si ritirò, infatti, poco più tardi, coreografando solamente “La fille du Bandit” l’anno successivo.

Il poema di Byron, “The Corsair”, fu adattato numerosissime volte in balletto. Il primo, risale al 1837 per il Drury Lane di Londra con le coreografie di Ferdinand Albert Decombè su musiche di Nicolas Bochsa. Produzione ripresa anche nel 1844 con discreto successo. Il secondo adattamento è quello, sopra trattato, di Mazilier del 23 Gennaio del 1856, di notevole successo, che rimane alla storia come prima grande rappresentazione. Seguirono poi i rifacimenti russi, ma a proposito del Corsaro parigino, è doveroso dire che ne venne presentato un altro, il 21 Ottobre del 1867, dallo stesso Mazilier. Quattro anni dopo il suo ritiro, infatti, Mazilier tornò a lavoro per la ballerina tedesca Adèle Grantzow in occasione dell’Esposizione Universale. Mazilier riprese ex novo il balletto, aggiungendo un grand ballabile intitolato “Grand Pas des Fleurs” creato appositamente per la Grantzow, su musiche di Leo Délibes. Questo Corsaire ebbe un successo ancora maggiore del primo, ottantuno repliche, e rappresenta non solo il ritorno di Mazilier sulle scene ma anche il suo ultimo balletto. Mazilier morì il 18 Aprile del 1868, nemmeno un anno più tardi. Successivamente la Grantzow fu invitata a San Pietroburgo dove si trovò a lavorare a fianco di Petipa che la chiamò in aiuto per il suo nuovo allestimento del balletto ma la ballerina fu stupita nel vedere i consistenti cambiamenti che il coreografo aveva apportato, cambiando addirittura il nome del brano, “Grand Pas des Fleurs” di Mazilier in “Le Jardin Animé” chiamato così ancora oggi.

Un paragrafo a parte meritano gli allestimenti russi di Petipa datati 1858, 1863, 1885, 1899. In quello del 1858, in realtà Petipa, allora molto giovane, partecipava come ballerino nella parte di Conrad.
Le coreografie erano del grande Jules Perrot allora maître de ballet al Balletto Imperiale. Perrot allestì “Le Corsaire” per mettere in risalto sua moglie, la ballerina Ekaterina Friedbürg. Egli riprese in larga parte la coreografia di Mazilier ma si fece aiutare da Petipa che collaborò all’allestimento del balletto riscrivendo alcune delle danze originali tra cui il Pas de Éventails del primo atto in cui Medora e sei corifee con dei grandi ventagli creano un effetto “coda di pavone” e la Scéne de Seduction. Per questa produzione Petipa aggiunse poi, ex novo, un pas de deux preso dal suo balletto dell’anno precedente “La Rosa, la Violetta e la Farfalla”. Era un Pas d’action drammatico in cui il mercante di schiavi Lankendem, mostra ai mercanti la splendida Gulnare per venderla. Il passo a due diventato famoso con il titolo di Pas d’Esclave, fu aggiunto per dare visibilità alla ballerina Lyubov Radina che danzò appunto il ruolo di Gulnare. Quando Jules Perrot lasciò la Russia nel 1858, in sua sostituzione venne chiamato Arthur Saint-Léon e Petipa fu nominato suo assistente. Alla morte di Saint-Léon, nel 1870, Petipa prese il suo posto con la carica di maître de ballet svolgendo questo ruolo fino al 1903. Durante il suo operato il coreografo riprese il balletto presentandolo in una versione completamente nuova, pensata soprattutto per sua moglie, la prima ballerina Maria Surovshchikova. Per questa nuova produzione, andata in scena nel 1863, Petipa commissionò una nuova musica al musicista compositore del Balletto Imperiale Cesare Pugni che, tra le aggiunte, inserisce la Mazurka dei Corsari del secondo atto tuttora presente nelle produzioni. Ma i rifacimenti de Le Corsaire firmati Petipa non terminarono con questa produzione. Nel 1885 presentò una nuova versione creata questa volta per la ballerina Eugeniia Sokolova. Per l’occasione il coreografo rivide nuovamente tutto il balletto aggiungendo delle nuove musiche di Léon Minkus, anch’esso primo compositore al Balletto Imperiale, per il pezzo Le Jardin Animé (Grand Pas des Fleurs nella versione di Mazilier del 1867) sostituendole a quelle già usate di Delibes. L’ultima versione de Le Corsaire firmata Marius Petipa è datata 1899 questa volta appositamente composta per l’italiana, la grande prima ballerina assoluta, Pierina Legnani che interpretò Medora a fianco a Pavel Gerdt nei panni di Conrad; Olga Preobrajenskaya era invece Gulnare.

Per tutta la metà del ventesimo secolo le rappresentazioni del balletto si ebbero quasi esclusivamente in terra Russa. Dopo la morte di Petipa fu montata una nuova versione da Gorsky che debuttò nel Gennaio del 1912 con Ekaterina Geltzer nella parte di Medora e Vasily Tikhomirov in quella di Conrad. Gorsky aggiunse alla versione di Petipa nuove danze di altri compositori tra i quali Chopin e Ciaikovsky; versione adottata dal Balletto imperiale fino al 1928. Sempre in Russia una versione del 1931 fu firmata da Agrippina Vaganova mentre una completamente nuova si ebbe nel 1955 firmata dal maître de ballet Pyotr Gusev per il balletto Maly di San Pietroburgo. Gusev insieme allo storico della danza Slonimsky ne riscrisse il libretto apportando significativi cambiamenti. Introdusse un nuovo personaggio, lo schiavo Alì (che danzava anche il famoso Pas de deux come pretendente) e modificò il prologo cioè la scena del naufragio. Qui fu aggiunto un corposo brano e cioè l’entrata di Medora con Gulnare e dieci ballerine che in seguito trovano Conrad e i suoi compagni naufraghi sulla riva del mare. Subito dopo le donne sono rapite da Lankendem e i suoi compagni per cui il Corsaro Conrad decide di andare a salvarle. La novità della revisione risiede soprattutto nella partitura musicale. Benchè l’originale contenesse già molti brani di altri autori oltre quelli di Adam, Gusev la elimina quasi del tutto adottando la partitura del balletto di Adam La Jolie Fille du Gand del 1842 con aggiunte di brani di Cesare Pugni con nuovi leitmotiv per i personaggi principali. Aggiunge poi nuove danze individuali dalla partitura di Drigo per il balletto Il Talismano (1931) di Petipa. L’allestimento di Gusev fu per la compagnia del Kirov che decise poi di mantenere la versione della Vaganova. Ma nonostante questo non andò assolutamente persa, essa, infatti, è ancora danzata dal balletto Novosibirsk. Nel 1973 anche Kostantin Sergeyev ne allestisce un revival su richiesta del direttore del Bolschoi Jurij Grigoroviã. Oggi nel mondo Le Corsaire viene rappresentato principalmente in due versioni: quella di Gusev del 1955 (per lo più in Russia e Europa), e quella di Kostantin Sergeyev creata nel 1973 (maggiormente in America e in Europa). Spesso però, considerata la trama poco coerente e intricata che ne rende difficoltoso l’allestimento, vengono presentati solo i brani più famosi: Le Jardin animé, il Pas d’Esclave, il Gran pas The trois des Odalisques e il celebre Pas de Deux eseguito nella formula ideata da Petipa (adagio-variazione e coda). Memorabile quello che compose per Enrico Cecchetti ed Emma Bessone.

Trama
Particolarmente complicata e incentrata sulla figura di una fanciulla greca, Medora, venduta come schiava e tratta miracolosamente in salvo da Corrado, un pirata che si innamora perdutamente di lei. Insieme affrontano innumerevoli traversie culminanti in un naufragio della nave.

I personaggi
Conrad – Capitano della nave dei corsari
Ali – Schiavo di Conrad
Birbanto – Primo compagno e amico di Conrad
Lankendem – Mercante di schiavi
Medora – Giovane donna greca
Gulnare – Giovane donna greca e amica di Medora
Seid Pascià – Un nobile turco
Sia nella versione adottata dal Kirov che in quella adottata dall’American Ballet, è presentato in III atti con prologo ed epilogo. La sostanziale differenza drammaturgica risiede nel prologo e nell’epilogo: la versione dell’American Ballet (Sergeyev) prevede la scena della tempesta nell’epilogo anziché nel prologo come invece avviene nella versione del Kirov (Gusev).

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Foto: Massimo Danza

Davide Dato e Nikisha Fogo in “Tarantella”

Eleonora Abbagnato con le stelle italiane nel mondo, ha dato vita al Gala internazionale di danza a cura di Daniele Cipriani, che si è svolto in Piazza del Duomo a Spoleto il 30 Giugno 2019.

Maratona di danza e balletto con gli artisti italiani che hanno conquistato le scene internazionali e i più importanti teatri del mondo, questa la serata Stelle italiane nel mondo: dall’Opéra de Paris al New York City Ballet, all’English National Ballet di Londra e altre importanti compagnie. Una serata unica e irripetibile a Spoleto, con brani dei più grandi coreografi, ma anche creazioni in prima nazionale firmate da giovani talenti italiani.

Sono stati tantissimi gli artisti italiani impegnati nelle maggiori compagnie di danza del mondo: étoiles, coreografi e giovani talenti che brillano nei più importanti teatri, dall’Opéra de Paris al New York City Ballet, dall’English National Ballet di Londra al National Ballet of Canada. Le loro biografie sono storie di tenacia e dedizione, segnate da svolte e spirito d’avventura; nella loro danza c’è il racconto dell’emigrazione artistica italiana: viaggi individuali e vincenti verso l’eccellenza.

A queste eccellenze italiane nel mondo, che hanno conquistato il pubblico internazionale, Daniele Cipriani ha dedicato una serata-evento unica, Stelle italiane nel mondo, ideata per il Festival Dei Due Mondi di Spoleto, il 30 Giugno 2019 in Piazza Duomo.

Un giro del mondo con le stelle e i ballerini italiani con ospite d’eccezione, Eleonora Abbagnato: protagonista di una delle più avvincenti storie di successo come artista italiana all’estero, prima danzatrice italiana ad essere nominata étoile del Ballet de l’Opéra de Paris e, contemporaneamente, direttore del Corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma.

Guidati da questa luminosa presenza, le seguenti stelle italiane provenienti da diverse compagnie internazionali: Davide Dato, di Biella, dal 2016 Erste Solotänzer del Wiener Staatsballett, protagonista delle principali produzioni della compagnia viennese, e Nikisha Fogo, solista del Wiener Staatsballet, a Spoleto hanno presentato una scoppiettante Tarantella di George Balanchine.

Una tarantella interpretata da una sola coppia di danzatori, esemplare per la difficoltà tecnica richiesta dalla velocità della musica.
Le coreografie di Balanchine sono note per la loro aderenza alla partitura musicale. Anche questa coreografia penetra la costruzione musicale, non limitandosi alla suggestione dell’esteriorità ritmica e melodica.

Stelle italiane nel mondo ha costituito, inoltre, un’occasione per onorare le carriere che danno lustro al nome del nostro paese all’estero, per rivedere in scena le étoile italiane già affermate e festeggiarle accanto ai numerosi talenti che ne stanno seguendo le orme, ma anche per incontrare le nuove personalità creative che stanno emergendo nelle più prestigiose compagnie internazionali. Una vera e propria fotografia dell’odierna presenza italiana all’estero, erede di una tradizione e scuola storicamente riconosciute, che ha visto l’Italia, nei secoli, esportatrice di arte e artisti in tutto il mondo.

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Foto: Massimo Danza