Marianela Nuñez e Vadim Muntagirov in “La Bayadère” pas de deux, III atto.

Un altro armonioso “passo a due” tratto dal Gala Internazionale Les Étoiles a cura di Daniele Cipriani.

Marianela Nuñez e Vadim Muntagirov hanno dato vita, all’Auditorium Parco della Musica, ad un sensazionale pas de deux tratto da “La Bayadère”, creazione originale di Marius Petipa, in occasione de Les Étoiles Gala Internazionale di danza a cura di Daniele Cipriani, svoltosi alla fine di Gennaio 2020.

La musica fu composta dal compositore austriaco Léon Minkus, grande collaboratore di Petipa e Primo Compositore Imperiale del balletto del Teatro Imperiale di San Pietroburgo dal 1871 al 1886. La Bayadère è un tipico prodotto del periodo in cui venne scritta e montata: una storia melodrammatica, frammentata da vari episodi, che si svolge in una terra antica ed esotica, perfetto veicolo di danze e scene di mimo in atmosfere sontuose e ricche. In quegli anni, Petipa preferiva i soggetti della tradizione del balletto romantico, tipici balletti melodrammatici che coinvolgevano un triangolo amoroso e presentavano donne soprannaturali che racchiudevano l’ideale femmineo. La trama piuttosto tragica de La Bayadère è sicuramente conforme a questi modelli.

Le origini de La Bayadère sono piuttosto oscure e il dibattito è aperto su chi sia responsabile della creazione del libretto del balletto. Di solito nella San Pietroburgo zarista, prima del debutto, si pubblicava sul giornale il libretto, una lista di danze e un articolo che descrivesse la genesi del lavoro. Nel caso de La Bayadère non si citò nessun autore del libretto. Quando Petipa allestì di nuovo il balletto nel 1900, la Gazzetta di San Pietroburgo pubblicò il libretto, questa volta facendo il nome dello scrittore e drammaturgo Sergei Khudekov come autore. Petipa scrisse una lettera di rettifica all’editore del giornale nella quale affermava che solo lui era l’autore del libretto, mentre Khudekov aveva contribuito in minima parte come direttore di scena. Questa non era la prima volta che Petipa scriveva una simile rettifica: era già successo nel 1894 in occasione del balletto Il risveglio di Flora in cui si citavano come coreografi Petipa e Lev Ivanov. Nella lettera, Petipa asseriva che solo lui era responsabile della coreografia e Ivanov era semplicemente un assistente che aveva aiutato nell’allestimento delle danze.

Nel 1839, una compagnia itinerante di autentiche bayadere indiane visitò Parigi e lo scrittore Théophile Gautier scrisse quelle che forse furono le sue pagine più ispirate nel descrivere la ballerina principale della compagnia, la misteriosa Amani. Anni dopo, nel 1855, Gautier registrò il triste fatto che la ballerina si era impiccata a Londra durante una crisi depressiva e per ricordarla Gautier scrisse il libretto di Sacountala, derivato in parte da un lavoro teatrale del poeta indiano Kālidāsa. Il lavoro debuttò a Parigi il 14 luglio 1858 all’Opéra, allora nota con il nome di “Académie Royale de Musique”, con la musica di Ernest Reyer. La coreografia era del fratello di Marius, Lucien Petipa. Molti storici del balletto ritengono che qui stia la vera ispirazione per La Bayadère di Petipa.

Un altro lavoro con temi simili di un’India esotica che può aver ispirato Petipa fu l’opera-balletto in due atti di Filippo Taglioni dal titolo Le Dieu et la Bayadère ou La courtisane amoureuse, musica di Daniel Auber, presentato a Parigi il 13 Ottobre 1830 dalla compagnia dell’Académie Royale de Musique. Tra il pubblico ad assistere a questo balletto c’era anche il giovane Marius Petipa. Fu un successo enorme al quale parteciparono talenti quali il famoso tenore Adolphe Nourrit e la leggendaria ballerina Maria Taglioni nel ruolo della Bayadère (l’unica parte di questo balletto che ancora si balla oggi è appunto il sopra citato Pas de Deux, spesso usato nelle competizioni, noto come Grand Pas Classique, di solito presentato nella coreografia di Victor Gsovsky sulla musica di Auber).

Il balletto fu uno dei primi trionfi di Petipa al Teatro Imperiale a San Pietroburgo. La trama tratta temi particolarmente cari alle platee ottocentesche: esotismo, promesse amorose tradite, sentimentalismo, romanticismo, gusto per il soprannaturale.

Riassumendo l’esilissima trama, nel primo atto veniamo a conoscenza del guerriero Solor, innamorato della baiadera Nikiya a sua volta amata dal Bramino. Nikiya costringe Solor ad un giuramento d’amore eterno. A Solor viene offerta la mano di Gamzatti, la figlia del Rajah, ed egli accetta dimenticandosi la promessa fatta a Nikiya. Durante i festeggiamenti per il fidanzamento, Gamzatti dice a Nikiya il nome del suo fidanzato e lei si oppone inutilmente a questo fidanzamento. Una schiava, Aya, propone a Gamzatti di uccidere Nikiya.

Nel secondo atto vi è la danza delle baiadere alla quale partecipa anche Nikiya. Aya dà a Nikiya un cesto di fiori nel quale è nascosto un serpente velenoso che la morde. Il bramino le propone di salvarla, a patto che lei accetti di sposarlo. Nikyia rifiuta e danza fino a quando muore.

Nel terzo atto, Solor per dimenticare il dolore della morte di Nikiya, fuma un particolare veleno, si addormenta e si ritrova nel regno delle ombre e tra esse ritrova anche l’amata Nikiya alla quale giurerà fedeltà eterna.

Nel quarto atto durante le nozze tra Solor e Gamzatti, il tempio crolla seppellendoli sotto le macerie.

La Bayadère fu creato espressamente per Ekaterina Vazem, Prima Ballerina dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo. Il balletto in Russia verso la fine del XIX secolo era dominato da artisti stranieri ma l’amministrazione del teatro cercava di incoraggiare i talenti autoctoni e la Vazem, virtuosa russa della tecnica allora detta terre-à-terre era uno di questi talenti.

Il creatore del ruolo di Solor fu Lev Ivanov, Premier Danseur dei Teatri Imperiali, che diventerà assistente “maître de ballet” di Petipa, amministratore del Balletto Imperiale e coreografo (sua la prima produzione de Lo Schiaccianoci).

Petipa lavorò duramente per sei mesi. Il direttore dei Teatri Imperiali, il barone Karl Karlovich Kister non aveva alcuna simpatia per il balletto e appena possibile diminuiva il budget. A quel tempo nella San Pietroburgo zarista, l’Opera italiana era molto più in voga del balletto e la compagnia lirica monopolizzava lo spazio destinato per le prove, il teatro Imperiale Bolshoi Kamenny. La compagnia di balletto aveva solo due giorni alla settimana per le rappresentazioni mentre l’Opera andava in scena anche per sei o sette giorni. Petipa riuscì ad avere solo una prova generale in cui mettere insieme tutte le scene e le danze fino ad allora provate separatamente. Durante questa prova, Petipa ebbe un contrasto con la Vazem riguardo alla sua entrata per il Grand Pas d’action del finale ed ebbe anche molti problemi con gli scenografi che avevano costruito effetti teatrali complicati. Per peggiorare la situazione, il maestro temeva di debuttare in un teatro vuoto poiché il barone Kister aveva aumentato il prezzo del biglietto in modo che fosse più caro di quello dell’Opera, già a sua volta piuttosto dispendioso.

Il successo di questa produzione fu enorme tanto da essere rappresentato per settanta volte fino al ritiro dalle scene della Vazem nel Gennaio del 1884, cosa sorprendente se si pensa che a quel tempo vi erano due soli spettacoli di balletto alla settimana.

Dopo questo enorme successo però il balletto venne messo da parte e ripreso da Petipa solo una volta per la ballerina Anna Johansson nel Dicembre dello stesso anno.

Quando Anna Johansson si ritirò nel 1886, scelse la Celebrazione del fidanzamento del secondo atto come passo d’addio. Questa fu l’ultima volta in cui La Bayadère fu rappresentata prima di venir ritirata dal repertorio dei balletti imperiali.

Petipa rimontò un revival completo del balletto nella stagione 1900-1901 per Mathilde Kschessinskaya, appena nominata Prima ballerina assoluta e Pavel Gerdt, Jeune premier dei balletti imperiali.

Tra i cambiamenti più importanti attuati da Petipa, ci fu l’uso degli allievi nella scena del Regno delle Ombre. Petipa cambiò l’ambientazione da un castello incantato nel cielo di un palco completamente illuminato ad un paesaggio roccioso e cupo sulle vette dell’Himalaya. I danzatori del corpo di ballo passarono da trentadue a quarantotto, dando l’illusione di spiriti che discendono dal cielo nella famosissima Entrata delle Ombre.

Un altro importante cambiamento fu l’interpolazione, per i ballerini solisti, di nuove variazioni nel Grand Pas d’action finale. Come si usava fare ai quei tempi, Minkus non compose le variazioni per il finale del balletto perché venivano sempre eseguite ad libitum, vale a dire a scelta del danzatore. Nella partitura originale, Minkus, dopo il Grand adage del Grand Pas d’action scrisse semplicemente a margine: “seguito dalle variazioni di Solor e Gamzatti”. In genere queste variazioni erano prese da altri balletti già esistenti. Il cinquantaseienne Pavel Gerdt non poteva danzare la variazione di Solor che venne invece danzata da Nikolai Legat. Per il Grand pas d’action egli scelse la Variation di Djalma, aggiunta da Minkus nel 1874 in occasione del revival del balletto Le Papillon di Taglioni e Offenbach. Nel 1941 Vakhtang Chabukiani coreografò questa variazione per sé stesso ed è quella che ancora oggi si usa per il ruolo di Solor.

La prima ballerina Olga Preobrajenskaya danzò il ruolo di Gamzatti nel revival di Petipa del 1900 ma non esistono documentazioni riguardo a quale variazione danzò durante il Grand pas d’action. Chabukiani usò per la sua versione del balletto la Variation de Nisia su musica di Cesare Pugni, presa dal Pas de Venus del balletto di Petipa dal titolo Le Roi Candaule (1868).

Anche se nella produzione originale Nikiya non danzava una variazione durante il Grand pas d’action, Mathilde Kschessinskaya chiese al maestro di cappella Riccardo Drigo del teatro di comporre per lei una variazione. Tale variazione diventò di esclusiva proprietà della ballerina e non fu mai più eseguita dopo di lei.

Il secondo revival di Petipa del balletto fu presentato il 3 Dicembre 1900 (15 Dicembre per il calendario giuliano) al Mariinskij con reazioni discordanti da parte di pubblico e critica. Anche se considerato noioso, diventò un vero e proprio banco di prova per le ballerine e i ballerini perché pieno di difficoltà tecniche e interpretative.

Olga Preobrajenskaya, Vera Trefilova, Anna Pavlova (che fece la sua ultima apparizione con i Balletti Imperiali nel ruolo di Nikiya nel 1914), Ekaterina Geltzer, Lubov Egorova e Olga Spessivtseva per nominare solo alcune delle maggiori ballerine del tempo, tutte trionfarono nel ruolo di Nikiya.

Il regno delle ombre diventò uno dei test cruciali per un corpo di ballo e molte giovani ballerine soliste fecero il loro debutto danzando una delle tre variazioni delle ombre. Nel marzo del 1903 questo pezzo fu rappresentato singolarmente per la prima volta durante una serata di gala al Peterhof in onore della visita di stato del Kaiser Guglielmo II e ben presto divenne tradizione estrapolare la Scena delle ombre dal resto del balletto.

Marianela Núñez ha cominciato a danzare all’età di tre anni e a otto fu ammessa all’Instituto Superior de Arte al Teatro Colón di Buenos Aires, dove studiò fino ad unirsi al corpo di ballo della compagnia del teatro all’età di quattordici anni. Ancora adolescente fu scelta per una tournée argentina del Ballet Clasico de La Habana come solista. Nel 1997 Maximiliano Guerra la scelse come partner sulle scene nella sua tournée in Uruguay, Spagna, Italian e Giappone. Nel 1997 si unì alla Royal Ballet School e dopo un anno di perfezionamento si unì al corpo di ballo del Royal Ballet nel 1998; nel 2001 fu promossa a prima solista e nel 2002, a vent’anni, divenne ballerina principale. Nel corso della sua carriera al Royal Ballet ha danzato tutti i principali ruoli femminili nel repertorio classico, drammatico e contemporaneo della compagnia, danzando le coreografie di Frederick Ashton, George Balanchine, John Cranko, William Forsythe, Rudol’f Nureev, Jiří Kylián, Kenneth MacMillan, Wayne McGregor, Ashley Page, Jerome Robbins, Liam Scarlett, Glen Tetley, Will Tuckett, Antony Tudor e Christopher Wheeldon. Tra i suoi numerosi ruoli si ricordano Odette ed Odille ne Il lago dei cigni, Kitri in Don Chisciotte, Aurora ne La bella addormentata, Giulietta in Romeo e Giulietta e Manon ne L’histoire de Manon accanto al des Grieux di Roberto Bolle. Nel 2013 ha vinto il Laurence Olivier Award per l’eccellenza nella danza per le sue interpretazioni in Aeternum, Diana and Acteon e Viscera in scena alla Royal Opera House. Nel 2015 fu candidata al Prix Benois de la Danse, mentre nel 2018 dopo una rappresentazione di Giselle, la Núñez fu festeggiata dalla compagnia per il suo ventesimo anniversario con il Royal Ballet, durante il quale il direttore artistico della compagnia, Kevin O’Hare, la definì una delle più grandi beallerine della sua generazione.

Vadim Muntagirov è nato a Chelyabinsk , in Russia. Entrambi i suoi genitori erano ballerini professionisti. Si è formato alla Perm Ballet School e alla Royal Ballet School .
Nel 2006, Muntagirov ha partecipato al concorso del Prix de Lausanne. Ha vinto una borsa di studio e ha scelto di frequentare la Royal Ballet School. Dopo essersi diplomato alla Royal Ballet School nel 2009, Muntagirov si è unito al Balletto Nazionale Inglese. È stato promosso primo solista nel 2010, principale nel 2011 e principale nel 2012. Durante l’ENB, è stato notato per la sua collaborazione con Daria Klimentova , che è stata associata a Fonteyn e Nureyev. Si è unito al Royal Ballet come preside nel febbraio 2014. La sua prima esibizione con il Royal Ballet è stata come il Principe Florimund in La bella addormentata nel bosco.
Nel 2011, Muntagirov è apparso nel documentario della BBC4 Agony and Ecstasy: A Year with English National Ballet , che ha seguito la sua esibizione di Swan Lake con Daria Klimentova.
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Foto: Massimo Danza

Marianela Nuñez e Vadim Muntagirov in “La bella addormentata” pas de deux, III atto

I due artisti, tra i più grandi danzatori al mondo, si sono esibiti in occasione de “Les Étoiles, Gala Internazionale di Danza” a cura di Daniele Cipriani, andato in scena a Roma il 24, 25 e 26 Gennaio 2020 presso l’Auditorium Parco della Musica.

Felpatamente, “in volo e sulle punte” secondo il celebre motto di questo gala, si sono approcciate le stelle del balletto, protagoniste di “Les Ètoiles Gala Internazionale di Danza”, a cura di Daniele Cipriani, il gala di danza più atteso della capitale. La loro grande marcia è infatti sì è diretta all’Auditorium Parco della Musica di Roma dove i fuoriclasse della danza internazionale sono stati in scena alla Sala S. Cecilia il 24 e 25 Gennaio (ore 21) e il 26 Gennaio 2020 (ore 17).

Spettatori provenienti da tutta Italia e dall’estero che, in alcuni casi, hanno prenotato con addirittura un anno di anticipo, sono la riprova che il gala di Daniele Cipriani sia ormai uno spettacolo cult: non sorprende quindi che l’attesa tra gli appassionati di Les Ètoiles, sia stata davvero (è il caso di dirlo)… alle stelle!

Si dice che con il passare delle epoche, via via che si va allargando lo stato di coscienza dell’essere umano, si allarghi anche l’universo: innegabile che, in parallelo alle esplorazioni del subconscio da parte dei padri della psicanalisi nel 20° secolo, sono avvenute scoperte di nuovi pianeti e stelle da parte degli astronomi.

In questa 9a edizione di Les Ètoiles (poichè alle cinque precedenti edizioni romane si devono aggiungere quelle di Venezia, Cagliari e Ravenna, ricordandosi che la 10a edizione si terrà al Comunale di Bologna il 4 ed il 5 Marzo 2020), anche il firmamento stellato di Daniele Cipriani si espande ulteriormente: è aumentato il numero delle stelle che hanno danzato e sono aumentate anche il numero delle serate, portate eccezionalmente a tre.

La portabandiera dell’armata danzante è stata la popolarissima ballerina argentina, ormai simbolo de Les Ètoiles per numero di presenze in campo, Marianela Nuñez che ha avuto accanto il russo Vadim Muntagirov, danseur noble dei più puri (detto “Vadream” perchè considerato il partner del sogno dalle ballerine del Royal Ballet di Londra, compagnia da cui sia lui che la Nuñez provengono); hanno interpretato passi a due del repertorio classico (La Bayadère e Bella Addormentata).

Già da questo si evince che una delle caratteristiche che rende Les Ètoiles così diverso da altri gala di danza è proprio la scelta del programma, che spazia dai classici di repertorio di Petipa, conditi di fouettés, grands jetés ed altri virtuosismi mozzafiato, a brani firmati da grandi nomi della coreografia del 20° secolo o da coreografi contemporanei di punta.

“È naturale, parlando di Les Ètoiles”, ha detto Daniele Cipriani, “accennare all’internazionalità dell’evento, visti i molteplici paesi di provenienza degli artisti (ballerini, coreografi, compositori), e sottolineare la sua universalità, dovuta al linguaggio tersicoreo che li riunisce tutti sotto un’unica bandiera. Lo faccio tutti gli anni, e lo voglio fare ancora. Ultimamente, mi è capitato di ripensare all’ultimo quadro, quello più celebre, del Ballo Excelsior (balletto ottocentesco italiano che fece furore in tutto il mondo) dove si vede una “Marcia delle Nazioni” in un tripudio di bandiere svettanti da tutto il mondo. È l’apoteosi della Pace, il trionfo della Concordia, con tutte le nazioni che si salutano sorelle. Mi piace pensare che il gala Les Ètoiles sia l’”attualizzazione” – cioè, la loro applicazione in un contesto moderno – degli ideali che furono alla base di Excelsior e ne diventarono i personaggi, con i nomi di Luce, Civiltà, Progresso, Fratellanza, Amore. Ne Les Ètoiles, gli stessi ideali sono alla base dell’intero ed ambizioso progetto, in veste attuale, ma con lo stesso ottimismo.”

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Foto: Massimo Danza

Simone Repele e Sasha Riva in “L’uccello di fuoco” per la coreografia di Marco Goecke

Proseguono i reportage tratti dal Gala Internazionale di danza, “Eleonora Abbagnato con le stelle Italiane nel mondo”, a cura di Daniele Cipriani, svoltisi a Spoleto nel Giugno 2019.

Nel Febbraio 1909, Sergey Pavlovich Diaghilev (1872 – 1929) ebbe l’occasione di sentire due brevi, ma brillanti lavori per orchestra del giovane Igor Stravinskij (1882 – 1971), ad un concerto a Sanpietroburgo.

Impressionato dal promettente compositore, Diaghilev, geniale impresario dei Ballets Russes, gli commissionò alcuni arrangiamenti per la sua stagione estiva a Parigi.

Per la stagione del 1910, chiese una nuova partitura musicale per un balletto completo, l’Uccello di Fuoco. Diaghilev era un grande talent scout e un visionario che cercava di promuovere la collaborazione tra le arti. Fondò i Ballets Russes nel 1909, raggruppando una mirabile collezione di talenti da Picasso a Debussy e Cocteau.

La coreografia venne affidata a Michel Fokine (1880 – 1942), di origine russa, autore del libretto tratto da una fiaba russa.

Il giovane principe Ivan si trova nel terribile regno dell’orco Kashchei, l’immortale entità del male puro, che imprigiona le donne e trasforma gli uomini in pietra. Senza rendersi conto del pericolo, Ivan incontra un bellissimo Uccello di Fuoco mentre vaga nel giardino incantato di Kashchei. Colpito dalla bellezza dell’Uccello, gli ruba una penna e scappa.
Incontra 13 donzelle, e lui si innamora passionalmente di una di loro. La mattina, quando le donzelle imprigionate da Kashchei sono costrette dalla magia dell’orco a tornare al suo castello, Ivan le segue.
Viene catturato dai servi mostruosi di Kashchei, e sta per essere trasformato in pietra. Brandisce la penna magica che richiama l’Uccello di Fuoco. Gli racconta il segreto dell’immortalità di Kashchei: la sua anima, a forma di uovo, che tiene in un cofano, deve rimanere intera.
Ivan apre il cofano e spacca l’uovo; il mostro muore, le sue magie si dissolvono, e tutti coloro che aveva catturati sono liberati. La donzella di cui si era innamorato, la principessa Tsarevna, e il principe si sposano.

Fokine aveva iniziato la sua carriera lavorando in un rinnovato stile classico (Les Silfides, La Morte del Cigno). In seguito ha subito l’influenza della “danza libera” della grande danzatrice americana Isadora Duncan (1877 – 1927).
Duncan ricercava un nuovo stile di danza, lontano da quella accademica, dove movimenti liberi e fluidi, ispirati a fenomeni naturali come il mare o il vento, esprimono stati emotivi. Era attratta dagli ideali di bellezza dell’antica Grecia e ballava a piedi nudi, con i capelli fluenti, vestita con una tunica come quella che si vede dipinta sui vasi greci.
Con l’Uccello di Fuoco emerge uno stile nuovo, libero dal classicismo, libero nel movimento, nell’uso del palcoscenico, nella durata (più breve rispetto a quella dei grandi balletti classici).

Fokine rifiutava la simmetria formale del balletto classico, perché la trovava deleteria al dramma; usava gruppi meno rigidi e artificiali, più vicini alla realtà e più naturali che si trasformano: da artificio ornamentale diventano un potente forza drammatica.
Lo stile vigoroso e i passi atletici, prese dalle danze folcloristiche russe, sono stati incorporati in tutta la coreografia, un’altra innovazione rispetto ai balletti dell’ottocento, in cui erano relegati alle parti “di carattere”, a se stanti.

La partitura musicale è frutto di un rapporto di stretta collaborazione tra Fokine e Stravinskij, stilato dopo lunghe e dettagliate discussioni.

Sin dalla prima rappresentazione nell’estate del 1910, l’Uccello di Fuoco è stato uno strepitoso successo, rendendo immediatamente famoso Stravinskij, riconosciuto come uno dei più grandi compositori per il balletto.

Nel 20° secolo la musica è diventata via via più importante nei balletti, raggiungendo la stessa importanza della coreografia, mentre nel 19° secolo era poco più che un abbellimento e un sopporto ritmico al movimento. L’Uccello di Fuoco ha aperto la strada verso questo rinnovamento.

Le coreografie magnifiche (ed è anche poco) come L’Uccello di Fuoco di Marco Goecke, tra i più apprezzati sulla scena internazionale, hanno dato lustro a Sasha Riva e Simone Repele, i meravigliosi artisti del Ballet du Grand Théâtre de Geneve.
Eccoli insieme in queste bellissime immagini con alcuni estratti dalle loro intense esibizioni.

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Foto: Massimo Danza

Francesco Gabriele Frola e Katja Khaniukova ne “Il Corsaro”- Pas de deux “Camera da letto”

“Eleonora Abbagnato con le stelle Italiane nel mondo” – Gala internazionale di danza a cura di Daniele Cipriani.

Il genio romantico di Marius Petipa ha dato vita a due coreografie emblematiche “Il Lago dei cigni” e “Il Corsaro” (suite) .

“Il Corsaro”, in particolare, comprende le quattro più famose scene della celebre opera: Il Pas D’Esclave, le Odalische, la Camera da letto Pas de deux e Il Corsaro pas de deux.

Nello specifico, Francesco Gabriele Frola e Katja Khaniukova hanno dato vita al pas de deux “Camera da letto”.

Storia di un magnifico naufragio “Le Corsaire”, balletto in tre atti, debuttò il 23 Gennaio del 1856 all’Opéra di Parigi, interpretato dall’acclamatissima danzatrice italiana Carolina Rosati, allora prima ballerina incontrastata dell’Opéra, e dal famoso mimo italiano, Domenico Segarelli, poiché originariamente la parte del Corsaro non era ballata.

Il balletto, basato sul poema “The Corsair” di Lord Byron del 1814, fu musicato da Adolphe Adam, con le coreografie di Joseph Mazilier. Negli anni a seguire però, “Le Corsaire” subì, in Russia, consistenti revisioni drammaturgiche, coreografiche e musicali che portarono inevitabilmente alla nascita di numerose versioni.

“Le Corsaire” fu concepito principalmente per mettere in risalto le doti di Carolina Rosati, celebrata per la sua bellezza e per la sua precisione tecnica sulle punte e nelle batterie, doti alle quali si associava anche una buona mimica.
Ad Adolph Adam, allora migliore compositore di opere e di balletti in Francia, si pensi al suo successo con Giselle, vennero riconosciuti i diritti e un’ingente somma di denaro. Il debutto de “Le Corsaire” riscosse un notevole successo sia per la partitura che per l’interpretazione della Rosati nei panni dell’eroina Medora, che appassionò e catturò tutto il pubblico parigino.

Un altro aspetto che rese acclamatissima la prima francese, furono gli effetti teatrali della scenografia, mai visti sul palcoscenico dell’Opéra fino ad allora, ideati dal macchinista Victor Sacré. Da quel momento effetti ancora più imprevedibili vennero sperimentati sulle scene russe. Per la scena del naufragio del terzo atto, ad esempio, fu sorprendente la macchinazione di Andrei Roller, maestro di effetti teatrali, che al Bolshoi stupì tutto il pubblico in sala tra cui anche l’imperatrice Eugénie, usando effetti elettro-galvanici per riprodurre i fulmini della tempesta. De “Le Corsaire” di Mazilier, ebbe notevole successo anche l’orchestrazione intensa e colma di drammaticità di Adam il quale venne a mancare, purtroppo, qualche mese dopo il debutto. Il 4 Maggio del 1856, giorno dopo la sua morte, l’Opéra dette una rappresentazione de “Le Corsaire” in sua commemorazione devolvendo alla moglie tutti gli incassi.

“Le Corsaire” parigino fu così un tale successo che, dopo la prima, il balletto andò in scena altre 43 volte nello stesso anno, sempre con l’insuperabile interpretazione della Rosati nelle vesti di Medora. “Le Corsaire” era ormai legato al suo nome tanto che quando, tre anni più tardi, la danzatrice italiana lascerà l’Opéra, sarà tolto dalle programmazioni. Anche per il coreografo il balletto rappresentò un memorabile addio alle scene. Joseph Mazilier si ritirò, infatti, poco più tardi, coreografando solamente “La fille du Bandit” l’anno successivo.

Il poema di Byron, “The Corsair”, fu adattato numerosissime volte in balletto. Il primo, risale al 1837 per il Drury Lane di Londra con le coreografie di Ferdinand Albert Decombè su musiche di Nicolas Bochsa. Produzione ripresa anche nel 1844 con discreto successo. Il secondo adattamento è quello, sopra trattato, di Mazilier del 23 Gennaio del 1856, di notevole successo, che rimane alla storia come prima grande rappresentazione. Seguirono poi i rifacimenti russi, ma a proposito del Corsaro parigino, è doveroso dire che ne venne presentato un altro, il 21 Ottobre del 1867, dallo stesso Mazilier. Quattro anni dopo il suo ritiro, infatti, Mazilier tornò a lavoro per la ballerina tedesca Adèle Grantzow in occasione dell’Esposizione Universale. Mazilier riprese ex novo il balletto, aggiungendo un grand ballabile intitolato “Grand Pas des Fleurs” creato appositamente per la Grantzow, su musiche di Leo Délibes. Questo Corsaire ebbe un successo ancora maggiore del primo, ottantuno repliche, e rappresenta non solo il ritorno di Mazilier sulle scene ma anche il suo ultimo balletto. Mazilier morì il 18 Aprile del 1868, nemmeno un anno più tardi. Successivamente la Grantzow fu invitata a San Pietroburgo dove si trovò a lavorare a fianco di Petipa che la chiamò in aiuto per il suo nuovo allestimento del balletto ma la ballerina fu stupita nel vedere i consistenti cambiamenti che il coreografo aveva apportato, cambiando addirittura il nome del brano, “Grand Pas des Fleurs” di Mazilier in “Le Jardin Animé” chiamato così ancora oggi.

Un paragrafo a parte meritano gli allestimenti russi di Petipa datati 1858, 1863, 1885, 1899. In quello del 1858, in realtà Petipa, allora molto giovane, partecipava come ballerino nella parte di Conrad.
Le coreografie erano del grande Jules Perrot allora maître de ballet al Balletto Imperiale. Perrot allestì “Le Corsaire” per mettere in risalto sua moglie, la ballerina Ekaterina Friedbürg. Egli riprese in larga parte la coreografia di Mazilier ma si fece aiutare da Petipa che collaborò all’allestimento del balletto riscrivendo alcune delle danze originali tra cui il Pas de Éventails del primo atto in cui Medora e sei corifee con dei grandi ventagli creano un effetto “coda di pavone” e la Scéne de Seduction. Per questa produzione Petipa aggiunse poi, ex novo, un pas de deux preso dal suo balletto dell’anno precedente “La Rosa, la Violetta e la Farfalla”. Era un Pas d’action drammatico in cui il mercante di schiavi Lankendem, mostra ai mercanti la splendida Gulnare per venderla. Il passo a due diventato famoso con il titolo di Pas d’Esclave, fu aggiunto per dare visibilità alla ballerina Lyubov Radina che danzò appunto il ruolo di Gulnare. Quando Jules Perrot lasciò la Russia nel 1858, in sua sostituzione venne chiamato Arthur Saint-Léon e Petipa fu nominato suo assistente. Alla morte di Saint-Léon, nel 1870, Petipa prese il suo posto con la carica di maître de ballet svolgendo questo ruolo fino al 1903. Durante il suo operato il coreografo riprese il balletto presentandolo in una versione completamente nuova, pensata soprattutto per sua moglie, la prima ballerina Maria Surovshchikova. Per questa nuova produzione, andata in scena nel 1863, Petipa commissionò una nuova musica al musicista compositore del Balletto Imperiale Cesare Pugni che, tra le aggiunte, inserisce la Mazurka dei Corsari del secondo atto tuttora presente nelle produzioni. Ma i rifacimenti de Le Corsaire firmati Petipa non terminarono con questa produzione. Nel 1885 presentò una nuova versione creata questa volta per la ballerina Eugeniia Sokolova. Per l’occasione il coreografo rivide nuovamente tutto il balletto aggiungendo delle nuove musiche di Léon Minkus, anch’esso primo compositore al Balletto Imperiale, per il pezzo Le Jardin Animé (Grand Pas des Fleurs nella versione di Mazilier del 1867) sostituendole a quelle già usate di Delibes. L’ultima versione de Le Corsaire firmata Marius Petipa è datata 1899 questa volta appositamente composta per l’italiana, la grande prima ballerina assoluta, Pierina Legnani che interpretò Medora a fianco a Pavel Gerdt nei panni di Conrad; Olga Preobrajenskaya era invece Gulnare.

Per tutta la metà del ventesimo secolo le rappresentazioni del balletto si ebbero quasi esclusivamente in terra Russa. Dopo la morte di Petipa fu montata una nuova versione da Gorsky che debuttò nel Gennaio del 1912 con Ekaterina Geltzer nella parte di Medora e Vasily Tikhomirov in quella di Conrad. Gorsky aggiunse alla versione di Petipa nuove danze di altri compositori tra i quali Chopin e Ciaikovsky; versione adottata dal Balletto imperiale fino al 1928. Sempre in Russia una versione del 1931 fu firmata da Agrippina Vaganova mentre una completamente nuova si ebbe nel 1955 firmata dal maître de ballet Pyotr Gusev per il balletto Maly di San Pietroburgo. Gusev insieme allo storico della danza Slonimsky ne riscrisse il libretto apportando significativi cambiamenti. Introdusse un nuovo personaggio, lo schiavo Alì (che danzava anche il famoso Pas de deux come pretendente) e modificò il prologo cioè la scena del naufragio. Qui fu aggiunto un corposo brano e cioè l’entrata di Medora con Gulnare e dieci ballerine che in seguito trovano Conrad e i suoi compagni naufraghi sulla riva del mare. Subito dopo le donne sono rapite da Lankendem e i suoi compagni per cui il Corsaro Conrad decide di andare a salvarle. La novità della revisione risiede soprattutto nella partitura musicale. Benchè l’originale contenesse già molti brani di altri autori oltre quelli di Adam, Gusev la elimina quasi del tutto adottando la partitura del balletto di Adam La Jolie Fille du Gand del 1842 con aggiunte di brani di Cesare Pugni con nuovi leitmotiv per i personaggi principali. Aggiunge poi nuove danze individuali dalla partitura di Drigo per il balletto Il Talismano (1931) di Petipa. L’allestimento di Gusev fu per la compagnia del Kirov che decise poi di mantenere la versione della Vaganova. Ma nonostante questo non andò assolutamente persa, essa, infatti, è ancora danzata dal balletto Novosibirsk. Nel 1973 anche Kostantin Sergeyev ne allestisce un revival su richiesta del direttore del Bolschoi Jurij Grigoroviã. Oggi nel mondo Le Corsaire viene rappresentato principalmente in due versioni: quella di Gusev del 1955 (per lo più in Russia e Europa), e quella di Kostantin Sergeyev creata nel 1973 (maggiormente in America e in Europa). Spesso però, considerata la trama poco coerente e intricata che ne rende difficoltoso l’allestimento, vengono presentati solo i brani più famosi: Le Jardin animé, il Pas d’Esclave, il Gran pas The trois des Odalisques e il celebre Pas de Deux eseguito nella formula ideata da Petipa (adagio-variazione e coda). Memorabile quello che compose per Enrico Cecchetti ed Emma Bessone.

Trama
Particolarmente complicata e incentrata sulla figura di una fanciulla greca, Medora, venduta come schiava e tratta miracolosamente in salvo da Corrado, un pirata che si innamora perdutamente di lei. Insieme affrontano innumerevoli traversie culminanti in un naufragio della nave.

I personaggi
Conrad – Capitano della nave dei corsari
Ali – Schiavo di Conrad
Birbanto – Primo compagno e amico di Conrad
Lankendem – Mercante di schiavi
Medora – Giovane donna greca
Gulnare – Giovane donna greca e amica di Medora
Seid Pascià – Un nobile turco
Sia nella versione adottata dal Kirov che in quella adottata dall’American Ballet, è presentato in III atti con prologo ed epilogo. La sostanziale differenza drammaturgica risiede nel prologo e nell’epilogo: la versione dell’American Ballet (Sergeyev) prevede la scena della tempesta nell’epilogo anziché nel prologo come invece avviene nella versione del Kirov (Gusev).

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Foto: Massimo Danza

Tatiana Melnik e Bakhtiyar Adamdzhan in “Don Chisciotte” (pas de deux, III atto)

Un altro intenso “passo a due” tratto da “Les Étoiles Gala Internazionale di Danza” a cura di Daniele Cipriani.

La trama del celebre balletto di Marius Petipa è tratta dal romanzo “El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha” (L’arguto cavaliere Don Chisciotte della Mancia) dello scrittore spagnolo Miguel de Cervantes (1547-1616), pubblicato in due parti trail 1605 e il 1615. Questo romanzo ha iniziato a destare l’interesse del mondo della danza già nel Seicento, dopo che in Francia era cominciata a circolare la sua traduzione. Ma è stato soprattutto intorno alla metà del Settecento, con l’affacciarsi del nuovo genere del balletto pantomimo, che si sono susseguite diverse creazioni ispirate al soggetto di Cervantes: tra le più rinomate, quella di Franz Anton Hilverding, che nel 1740 ha prodotto “Dom Quichot ou Les noces de Gamache” (Don Chisciotte o Le nozze di Gamache) per il Teatro Kärntnertor di Vienna.

Nel 1743 è stata la volta di Jean-Barthélemy Lany, che ha creato le coreografie per la comédie-lyrique “Dom Quichotte chez la Duchesse (Don Chisciotte a casa della Duchessa) per l’Académie Royale de Musique (Opéra) di Parigi. Gli interpreti erano i celebri Marie Camargo, David Dumoulin e Louis Dupré; nel 1768 anche Jean-Georges Noverre, all’epoca maître de ballet dei Teatri Imperiali di Vienna, ha realizzato Don Chischotte per il Burgtheater. Le creazioni settecentesche tuttavia non erano ancora incentrate sull’amore contrastato tra il barbiere e la figlia dell’oste, che nel romanzo di Cervantes si chiamavano rispettivamente Basil e Quiteria (o Chilteria), ed è stato solo nell’Ottocento che il balletto, come lo conosciamo oggi, ha iniziato a prendere forma.

La prima creazione importante si è avuta nel 1801 all’Opéra di Parigi, con “Les Nocesde Gamachedi Louis Milon” (all’epoca maître de ballet adjointdi Pierre Gardel), interpretato da Auguste Vestris nel ruolo di Basil e Jean-Pierre Aumer in quello di Don Chisciotte. Il balletto di Milon è divenuto un paradigma per le creazioni successive in quanto, per la prima volta, la trama era incentrata sull’amore tra Quiteria e Basil.

Fuori della Francia si è avuto il “Don Kikhotdi Charles-Louis Didelot”, creato nel 1808 per il Teatro Imperiale di San Pietroburgo.

Nel 1837 anche August Bournonville ha creato una sua versione per il Teatro Realedanese, ossia “Don Quixote ved Camachos Bryllup” (Don Chisciotte alle nozze di Gamache), danzato da lui stesso nel ruolo di Basil e da Lucile Grahn in quello di Quiteira. Osserviamo che Camacho è il nome originale di Gamache nel romanzo di Cervantes.

Infine si è avuta anche una versione italiana dal titolo “Le avventure di Don Chisciotte”, opera del 1843 di Salvatore Taglioni per il Teatro Regio di Torino. Tuttavia a creare la versione che si è imposta nel repertorio del balletto classico fino ai nostri giorni, è stato Marius Petipa, che si è ispirato al romanzo di Cervantes solo in parte, per poter proporre uno spettacolo sul genere della commedia con un personaggio surreale come lo hidalgo Don Chisciotte. Costruita sulla falsariga di quello di Milon, quindi incentrato sull’amore di Basil e Quiteira, la versione di Petipa, per la prima volta, introduce il nome di Kitri al posto di Quiteira e, come era d’uso nelle creazioni del coreografo francese, contiene un richiamo ai balletti del primo romanticismo con l’inserimento dell’atto delle Driadi, tipico atto bianco che rappresenta il contrasto tra il sogno e la realtà. Tuttavia, a differenza dei balletti romantici della prima metà del secolo, questo è a lieto fine perché impostato sul genere della commedia, come Coppélia ou la Filleaux yeux d’émaildi Arthur Saint-Léon.

Il Don Chisciotte di Petipa in realtà ha avuto due versioni: è andato in scena per la prima volta il 26 Dicembre 1869 al Teatro Bol’šoi di Mosca, strutturato in un prologo, quattro atti e otto quadri e una seconda volta il 21 Novembre 1871 al Bol’šoi Kamennyj di San Pietroburgo, articolato in un prologo, cinque atti e undici quadri. La musica è stata composta dall’austriaco Ludwig (Léon) Minkus (1826-1917)3, all’epoca compositore ufficiale dei Teatri Imperiali e già autore, per l’Opéra di Parigi, di alcune musiche di Paquitadi Joseph Mazilier nel 1846.

Per Petipa, il soggetto, ambientato in Spagna, è stato l’occasione per introdurre le danze nazionali di quel paese, che egli aveva imparato durante i quattro anni del suo soggiorno a Madrid, dal 1842 al 1846. Infatti nella prima versione solo il personaggio di Dulcinea, peraltro ancora distinto da quello di Kitri e perciò interpretato da un’altra ballerina, danzava secondo i canoni accademici puri, e in generale si susseguivano diverse danze di carattere spagnolo attinte al folklore locale, come una zingaresca, una jota aragonese, una seguidilla, un fandango, una lola e una morena danzata da Kitri eBasilio. Vi era inoltre una danza di toreri armati di spade. Il coreografo ha tenuto presente il gusto del pubblico moscovita, meno raffinato di quello pietroburghese e ha arricchito il balletto di artifici scenici e di elementi comici e grotteschi. Ad esempio, nella scena del campo degli zingari, Kitri, scappata di casa vestita da uomo per sfuggire al matrimonio con Gamache, prendeva parte a una danza comica in cui un Arlecchino (il celebre danzatore grottesco Leon Espinosa), con in mano una gabbia per uccelli, cercava di catturare alcune allodole, rappresentate da sei danzatrici oltre alla protagonista. La folle battaglia di Don Chisciotte contro i mulini a vento era dovuta alla sua volontà di soccorrere la luna attaccata da giganti immaginari. Egli infatti aveva scambiato la luna sorgente per la sua amata Dolcinea, ma grazie a un artifizio scenico, la luna sorgeva versando copiose lacrime, che si trasformavano poi in una gran risata suscitando l’ilarità del pubblico. Dopo aver combattuto contro svariati mostri e aver sconfitto un ragno gigante che gli sbarrava il passo con la sua enorme tela , l’hidalgo cadeva addormentato e sognava di lottare con degli strani cactus, rappresentati da ballerini vestiti con forme mostruose.

In definitiva, la prima versione di Petipa aveva tutte le caratteristiche di una commedia, nella quale si riversavano diversi passaggi del romanzo di Cervantes, accompagnati da scene di fantasia trattate con un fine umorismo.

Il balletto rappresentato a Mosca aveva ottenuto un gran successo di pubblico, perciò tre anni dopo, Petipa ha pensato di riproporlo a San Pietroburgo, modificandolo in parte per andare incontro ai gusti più raffinati del pubblico della capitale e quindi anche allungandone la durata in ben cinque atti e undici quadri, oltre al prologo. La nuova versione ha debuttato il 21 Novembre 1871 al teatro Bol’šoi Kamennyj. Le modifiche miravano a dare maggior rilievo alla danza classica pura rispetto agli elementi basati sulle danze nazionali, le quali sono state notevolmente ridotte e anche stilizzate secondo i canoni accademici, perdendo molte caratteristiche riconducibili al folklore. Il coreografo ha inoltre eliminato le parti comiche e grottesche – come la cattura delle allodole, il combattimento con i cactus e la luna in lacrime – e ha modificato totalmente l’episodio del sogno di Don Chisciotte, rendendolo un vero e proprio atto bianco popolato da esseri sovrannaturali, secondo lo stile del primo romanticismo. Nel sogno infatti lo hidalgo, dopo aver ucciso il ragno gigante, veniva catapultato nel regno delle Driadi (ninfe dei boschi), a cui facevano corona cinquantadue piccoli Cupidi, interpretati dagli allievi della Scuola di Ballo dei Teatri Imperiali. Inoltre il personaggio di Dulcinea è stato unificato a quello di Kitri e quindi interpretato dalla stessa danzatrice. L’atto aggiunto, costituito da tre quadri, rappresentava il castello del Duca e della Duchessa, rievocando così un altro episodio del romanzo di Cervantes e venendo a costituire l’ambientazione ideale per il divertissement finale che inscenava le nozze dei due innamorati, al quale partecipavano anche i cinquantadue piccoli Cupidi dell’atto bianco. Questa versione terminava con la morte di Don Chisciotte, in adesione al romanzo di Cervantes.

Nel pas de deux del terzo atto, tratto da “Les Étoiles Gala Internazionale di Danza” a cura di Daniele Cipriani, eseguito da Tatiana Melnik e Bakhtiyar Adamdzhan, i due innamorati si rifugiano in una locanda: ma vengono trovati da Lorenzo, Gamache, Don Chisciotte e Sancho Panza. Basilio tenta di salvare la situazione simulando il suicidio, mentre Kitri implora l’aiuto di Don Chisciotte; così il cavaliere convince l’oste a sposare i due amanti, prima che Basilio muoia. Ottenuto il consenso Basilio svela l’inganno e si rialza: furibondo Gamache sfida in un duello Don Chisciotte e viene sconfitto.
Così, Kitri e Basilio possono coronare il loro amore con le fatidiche nozze, mentre il cavaliere e lo scudiero partono per una nuova avventura.

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Foto: Massimo Danza

Davide Dato e Nikisha Fogo in “Tarantella”

Eleonora Abbagnato con le stelle italiane nel mondo, ha dato vita al Gala internazionale di danza a cura di Daniele Cipriani, che si è svolto in Piazza del Duomo a Spoleto il 30 Giugno 2019.

Maratona di danza e balletto con gli artisti italiani che hanno conquistato le scene internazionali e i più importanti teatri del mondo, questa la serata Stelle italiane nel mondo: dall’Opéra de Paris al New York City Ballet, all’English National Ballet di Londra e altre importanti compagnie. Una serata unica e irripetibile a Spoleto, con brani dei più grandi coreografi, ma anche creazioni in prima nazionale firmate da giovani talenti italiani.

Sono stati tantissimi gli artisti italiani impegnati nelle maggiori compagnie di danza del mondo: étoiles, coreografi e giovani talenti che brillano nei più importanti teatri, dall’Opéra de Paris al New York City Ballet, dall’English National Ballet di Londra al National Ballet of Canada. Le loro biografie sono storie di tenacia e dedizione, segnate da svolte e spirito d’avventura; nella loro danza c’è il racconto dell’emigrazione artistica italiana: viaggi individuali e vincenti verso l’eccellenza.

A queste eccellenze italiane nel mondo, che hanno conquistato il pubblico internazionale, Daniele Cipriani ha dedicato una serata-evento unica, Stelle italiane nel mondo, ideata per il Festival Dei Due Mondi di Spoleto, il 30 Giugno 2019 in Piazza Duomo.

Un giro del mondo con le stelle e i ballerini italiani con ospite d’eccezione, Eleonora Abbagnato: protagonista di una delle più avvincenti storie di successo come artista italiana all’estero, prima danzatrice italiana ad essere nominata étoile del Ballet de l’Opéra de Paris e, contemporaneamente, direttore del Corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma.

Guidati da questa luminosa presenza, le seguenti stelle italiane provenienti da diverse compagnie internazionali: Davide Dato, di Biella, dal 2016 Erste Solotänzer del Wiener Staatsballett, protagonista delle principali produzioni della compagnia viennese, e Nikisha Fogo, solista del Wiener Staatsballet, a Spoleto hanno presentato una scoppiettante Tarantella di George Balanchine.

Una tarantella interpretata da una sola coppia di danzatori, esemplare per la difficoltà tecnica richiesta dalla velocità della musica.
Le coreografie di Balanchine sono note per la loro aderenza alla partitura musicale. Anche questa coreografia penetra la costruzione musicale, non limitandosi alla suggestione dell’esteriorità ritmica e melodica.

Stelle italiane nel mondo ha costituito, inoltre, un’occasione per onorare le carriere che danno lustro al nome del nostro paese all’estero, per rivedere in scena le étoile italiane già affermate e festeggiarle accanto ai numerosi talenti che ne stanno seguendo le orme, ma anche per incontrare le nuove personalità creative che stanno emergendo nelle più prestigiose compagnie internazionali. Una vera e propria fotografia dell’odierna presenza italiana all’estero, erede di una tradizione e scuola storicamente riconosciute, che ha visto l’Italia, nei secoli, esportatrice di arte e artisti in tutto il mondo.

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Foto: Massimo Danza

LA “COPPELIA” DI AMEDEO AMODIO: SOGNANDO HOLLYWOOD

E’ andata in scena al Teatro Nuovo Giovanni da Udine la attesissima prima di “Coppélia” di Amedeo Amodio: un grande successo di pubblico per un gioiello del balletto italiano riproposto con gli allestimenti originali dalla produzione Daniele Cipriani Entertainment.

Al Teatro Nuovo Giovanni da Udine è andata in scena con grande successo di pubblico la attesissima prima di “Coppélia” con la regia e le coreografie di Amedeo Amodio, riproposta con gli allestimenti originali dalla produzione Daniele Cipriani Entertainment che ne ha curato il recupero ed il restauro. L’assistenza alla coreografia è di Stefania Di Cosmo, le scene sono di Emanuele Luzzati e Luca Antonucci, i costumi di Luisa Spinatelli, le luci di Marco Policastro, le musiche di Léo Delibes e Giuseppe Calì.

Ad interpretare l’opera, nata nel 1995 per l’Aterballetto, il corpo di ballo ed i solisti della Daniele Cipriani Entertainment assieme ai primi ballerini Anbeta Toromani ed Alessandro Macario.

La storia si ispira al racconto di E.T.A. Hoffmann, “L’uomo della sabbia”, mentre l’azione si svolge interamente su un grande set cinematografico e si sviluppa durante le immaginarie riprese di un film, sotto la direzione dell’ambiguo regista Coppelius il quale, nel suggestivo prologo a sipario chiuso, appare da solo mentre assiste a quella che poi sarà la scena finale del “film”: la caduta nel vuoto di Nataniele, magistralmente rievocativa delle atmosfere di “Vertigo” di Hitchcock. Sin dal principio viene quindi a crearsi una sottile tensione nello spettatore, un fatale presagio la cui ombra seguirà l’intera opera.

Si apre il sipario ed inizia lo spettacolo. Coppelius mostra a Nataniele le sequenze del film, ed egli vi entra come Alice nello specchio, attraversando frammenti di scene che lo spettatore ricomporrà immaginativamente solo alla fine, in un quadro acceso ed inquietante.

Come in Hitchcock, anche qui il cinema è occhio-schermo, uno sguardo che spia, con frequenti riferimenti all’atto del “vedere”, agli occhi, ed ai dispositivi che ne intensificano il potere: macchine fotografiche, proiezioni su di un grande schermo in tempo reale di ciò che appare in scena.

Nataniele è un giovane ossessionato dagli occhi, la conseguenza del terrore inculcatogli nell’infanzia dalla madre la quale, per convincerlo ad addormentarsi, gli raccontava dell’uomo della sabbia, un orco che accecava i bambini riottosi al sonno.

Fidanzato con Clara, Nataniele si innamora di Olimpia, ipnotizzato dal suo sguardo che incrocerà per brevi istanti grazie alla regia di Coppelius: in realtà Olimpia è un automa creato dal regista il quale, tramite la bambola, esercita su Nataniele un misterioso potere.

Clara, in preda alla gelosia, si infiltrerà nel laboratorio di Coppelius, riuscirà a scoprire la reale natura di Olimpia e ne assumerà le sembianze, ammaliando a sua volta Coppelius e finendo col riconquistare l’amato.

Ma il giogo di Coppelius su Nataniele non è finito ed il mago-regista utilizzerà proprio il richiamo della ossessione del giovane per indurlo a gettarsi da una torre.

La storia prende il volo sulle fantastiche ali del grande cinema holliwoodiano, ricreandone le atmosfere leggendarie degli anni d’oro di Ginger Rogers e Fred Astaire, Gary Cooper e Marlon Brando: lo sfavillante Amodio, con magici pennelli di danza e regia, inserisce nel suo affresco i miti del nostro immaginario collettivo, con l’omaggio ai grandi musical ‘Sette spose per sette fratelli’, ”Bulli e Pupe’, ‘Un americano a Parigi’, introducendo in scena anche tre leggendari personaggi, Charlot Frankenstein e Dracula, emblemi cinematografici ormai consegnati alla storia.

Tutto è pervaso di leggerezza ed umorismo, persino il sotto testo oscuro del racconto, lasciato intatto dal maestro Amodio nel suo spessore sinistro o “perturbante”, termine quest’ultimo utilizzato da Sigmund Freud il quale giudicò Hoffmann, l’autore del racconto originale, il maestro indiscusso del “perturbante” nella letteratura, volendo intendere con questo aggettivo un aspetto della paura che si sviluppa quando qualcosa di familiare viene avvertito allo stesso tempo nella propria estraneità.

Geniale la scena della balera, all’inizio del secondo atto, un kubrickiano, fantastico viaggio di Nataniele nei propri desideri modulato su diversi balli e le rispettive allusive connotazioni: valzer, cha-cha-cha, mambo, tango.

I piani di lettura offerti dalla visionarietà caleidoscopica di Amodio sono molteplici e raffinati, supportati dalle scene immaginifiche di Luzzati/Antonucci, un immenso cielo, un hangar, un vagone ferroviario, mura tappezzate di manifesti d’epoca con figure fantastiche, camere misteriose in cima ad una scala; i meravigliosi costumi di Luisa Antonucci ricreano perfettamente l’ambientazione storica e cinematografica e le luci di Marco Policastro sottolineano sapienti le atmosfere di scena.

Una grande interpretazione del corpo di ballo, drammaturgicamente coeso, frizzante ed atletico, e dei suoi pregevoli solisti, come Giulia Neri (l’inquietante Olimpia), Valerio Polverari un autoironico Frankenstein dalla irresistibile vis comica, Francesco Moro il tenero ed acrobatico Charlot, Ferdinando De Filippo il suggestivo Dracula, ed infine il Coppelius di Umberto De Santis, sofisticato ed ambiguo ma tuttavia simpatico come il molleggiato Celentano. Anbeta Toromani (Clara) incanta per eleganza e poesia, la sua fine arte coreutica arriva sempre dritta al cuore. Alessandro Macario (Nataniele) riempie la scena con la sua grande presenza di danzatore e le intense doti interpretative: in coppia le due stelle fanno scintille, un vero piacere vederli ballare assieme.

Una Coppélia avvincente come un film noir, spumeggiante come un musical, divertente come un varietà, incastonata con quella magia che solo chi conosce profondamente il mezzo teatrale può offrire: un magnifico spettacolo, che appaga artisticamente tutti i palati e non solo gli amanti del grande balletto.

“Coppélia” di Amedeo Amodio sarà ancora in scena a Carpi ( 20 gennaio – Teatro Comunale), Piacenza ( 22 gennaio -Teatro Municipale), Pavia ( 3 febbraio – Teatro Fraschini), Bologna (16 – Teatro Duse), Gorizia (18 febbraio – Teatro Comunale).

Paola Sarto

Foto di Massimo Danza

TERABUST E DEREVIANKO TORNANO AL TEATRO VALLI DI REGGIO EMILIA PER APPLAUDIRE LO SCHIACCIANOCI DI AMODIO/LUZZATI DI CUI FURONO I PROTAGONISTI NEL 1989.

Il 4 gennaio la tournée dello “Schiaccianoci” di Amodio/Luzzati, prodotto da Daniele Cipriani, ha fatto tappa al teatro Romolo Valli di Reggio Emilia, tornando così dopo 28 anni nel luogo dove si svolse la sua prima assoluta, il 6 gennaio del 1989, con i primi ballerini Elisabetta Terabust e Vladimir Derevianko, tornati oggi ad applaudire il nuovo cast.

Una serata straordinaria che ha visto il teatro gremito e come ospiti diverse personalità e tecnici dell’Ater Balletto di ieri e di oggi, danzatori, amici, coreografi, rappresentanti del mondo della danza, dell’arte e della cultura, e poi loro, i due grandi primi ballerini per i quali Amedeo Amodio creò lo spettacolo: Elisabetta Terabust e Vladimir Derevianko. Terminato lo spettacolo, accolto da grande calore ed entusiastici applausi, la Terabust e Derevianko sono andati ad abbracciare il maestro Amodio e a congratularsi con tutto il cast e soprattutto con i primi ballerini di oggi, Anbeta Toromani e Vito Mazzeo: attimi di grande emozione tra chi ha condiviso la stessa importante esperienza artistica, nello stesso luogo ma in momenti temporali diversi, difficile da descrivere ma che forse le immagini di Massimo Danza riescono in parte a restituire.

Allo spettacolo sono seguiti i festeggiamenti in un clima di familiarità ed affetto, e per i più giovani o per chi non ha vissuto gli eventi della danza di quegli anni, vale la pena fare un passo indietro.

Nel gennaio del 1989 un grande spettacolo debuttava per la prima volta al Teatro Romolo Valli di Reggio Emilia. Erano gli anni d’oro del balletto in Italia, e dunque dell’Ater Balletto, bandiera della danza in Italia, che presentava il suo Schiaccianoci con la regia e le coreografie di Amedeo Amodio e le scene ed i costumi di Emanuele Luzzati. I primi ballerini erano le due stelle Elisabetta Terabust e Vladimir Derevianko.

Abbiamo chiesto a Simonetta Allder, che era presente quella sera in qualità di critico, di raccontarci qualche suo ricordo dello spettacolo.

“La serata fu indimenticabile, una impressione straordinaria, forse paragonabile a quella che ebbero gli italiani quando, appena terminata la guerra, arrivò per la prima volta in Italia il film di animazione “Biancaneve” di Walt Disney, una pellicola di elevato livello tecnico e creativo. Fu un trionfo, uno spettacolo fortemente innovativo per quegli anni ed inoltre non c’erano ancora tutte le rivisitazioni dei balletti classici a cui assistiamo oggi. Vedere lo Schiaccianoci di Amodio/Luzzati fu proprio come entrare in un’opera d’arte vivente, costituita dalla fusione di diverse forme artistiche.”

“Elisabetta Terabust? Una ballerina d’eccezione, sicura e precisa, con spiccate doti di sensibilità ed intuito, una grande artista; Vladimir Derevianko un grandissimo ballerino dalle diverse possibilità interpretative: nelle sue corde nobiltà ma anche carattere, con una fisionomia che si prestava in tal senso, poteva interpretare il giullare ed il principe. Amodio conosceva di entrambi i danzatori tutta la gamma espressiva, sapeva perfettamente come esaltarne le qualità”.

Dopo diverse repliche, lo Schiaccianoci di Amodio rimase uno spettacolo di nicchia, mentre i suoi allestimenti finirono nei depositi di Aterballetto, destinati probabilmente a perdersi se non fosse intervenuto un brillante impresario.

“Quando Daniele Cipriani ha pensato di recuperare quest’opera ne ha compreso la fondamentale importanza, si tratta realmente di un vero gioiello del repertorio italiano del secondo novecento: un’idea assolutamente originale, la sinergia con Emanuele Luzzati, il capire che il balletto poteva fondersi con altre forme d’arte, la recitazione, la danza, i costumi, l’arte della scenografia, l’inserimento delle voci, del teatro delle ombre, un patrimonio culturale ed artistico nella sua visione d’insieme, e non solo per la danza”.

La tournée, iniziata a fine ottobre, si concluderà il 14 gennaio con l’ultima tappa a Ravenna, passando da Pordenone: la nostra viva speranza è che lo Schiaccianoci possa tornare regolarmente a ripetersi sulle scene italiane e non solo, come è giusto che sia per questo patrimonio artistico dell’umanità.

Paola Sarto

Foto Massimo Danza

 

ASHLEY BOUDER E ANDREW VEYETTE: UNA VENTATA BALANCHINE SULLO SCHIACCIANOCI DI AMODIO/LUZZATI.

Il 14 dicembre abbiamo assistito allo “Schiaccianoci” al Teatro Verdi di Trieste, con la regia e le coreografie di Amedeo Amodio, le scene ed i costumi di Emanuele Luzzati e le musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij suonate dal vivo dall’orchestra del Teatro Verdi diretta dal M° Alessandro Ferrari.

Questo emozionante spettacolo, prodotto da Daniele Cipriani Entertainment, sta girando l’Italia con crescente successo e vede avvicendarsi diverse coppie di celebri primi ballerini; ciascuna coppia reca un timbro personale, una coloritura esclusiva, dettagli artistici che impreziosiscono la genialità dell’opera, a beneficio di un pubblico che dimostra di apprezzare la danza.

Dopo Rebecca Bianchi, Anbeta Toromani, Alessio Rezza, Vito Mazzeo, Alessandro Macario, la coppia dei primi ballerini questa volta arriva da oltre oceano: Ashley Bouder ed Andrew Veyette, stelle del New York City Ballet.

Siamo arrivati in questo teatro con la particolare emozione di trovarci nel tempio della lirica che accolse, nella metà del 1800, le numerose repliche del “Nabucco” di Giuseppe Verdi, colonna sonora dei travolgenti ideali risorgimentali di quegli anni.

E dunque, quanto mai consapevoli del fondamentale contributo dell’Arte allo svolgersi della Storia, abbiamo atteso trepidanti, ancora una volta prima dell’inizio di un’opera, l’aprirsi del sipario su uno degli spettacoli più interessanti e coinvolgenti ai quali abbiamo assistito, assai curiosi di vedere l’ ”effetto americano” su quest’opera così italiana nel suo genio creativo.

E non siamo certo rimasti delusi. La fresca ventata Balanchine ci ha regalato l’ebrezza del veleggiare nel mare aperto della danza: la coppia Bouder-Veyette ci ha incantato per la fresca musicalità con cui ha dato vita a Clara e Schiaccianoci; con estro moderno e purezza classica di linee, ci hanno regalato una interpretazione spumeggiante, perfettamente integrati da un italianissimo corpo di ballo, esperto ed elegante con i suoi virtuosi solisti.

Lunghi applausi hanno accolto i ringraziamenti degli artisti a fine spettacolo: la tourneé continuerà ancora fino al 14 gennaio, sarà a Bologna, Firenze, Ancona, Reggio Emilia, Pordenone Ravenna.

Paola Sarto

Foto Massimo Danza

ANBETA TOROMANI E VITO MAZZEO NELLO “SCHIACCIANOCI” DI AMODIO/LUZZATI.

I due primi ballerini sono nel cast di stelle dello “Schiaccianoci” di Amodio/Luzzati, attualmente in tournée in Italia, ed hanno riscosso i lunghi applausi del pubblico al teatro Petruzzelli di Bari.

Il pubblico del Teatro Petruzzelli di Bari ha applaudito calorosamente Anbeta Toromani e Vito Mazzeo nella loro interpretazione di Clara e Schiaccianoci nell’omonimo spettacolo di Amedeo Amodio con le scenografie ed i costumi di Emanuele Luzzati e le memorabili musiche di  Čajkovskij: una produzione in grande scala di Daniele Cipriani Entertainment, attualmente impegnata in una lunga tournée in Italia e che vede l’alternarsi di altri celebri stelle del balletto quali Ashley Bouder, Rebecca Bianchi, Andrew Veyette, Alessandro Macario, Alessio Rezza.

Anbeta Toromani, diplomata all’ Accademia di Danza di Tirana, sua città natale, e successivamente prima ballerina al Teatro dell’Opera di Tirana, ha interpretato i maggiori ruoli del repertorio ballettistico e si è imposta all’attenzione del grande pubblico italiano grazie alla sua partecipazione alla trasmissione televisiva “Amici” di cui è divenuta prima ballerina, dimostrando da subito le sue eccellenti doti tecniche ed artistiche ed ottenendo così una grande popolarità.

Ha conseguito diversi riconoscimenti ed ha partecipato a numerosi spettacoli e gala, ospite presso i maggiori teatri come il San Carlo di Napoli, il Massimo di Palermo, Il Verdi di Trieste, il regio di Parma.

Vito Mazzeo, di origini calabresi, si è diplomato al Teatro alla Scala di Milano per poi entrare al Royal Ballet di Londra e proseguire con il Teatro dell’Opera di Roma, il San Francisco Ballet ed il Dutch National Ballet. Principal dancer con larga esperienza dei ruoli di rilievo del repertorio, è ospite internazionale di spettacoli ed eventi.

Il prossimo appuntamento per lo Schiaccianoci di Amodio/Luzzati è dal 14 al 18 dicembre al Teatro Verdi di Trieste, con Ashley Bouder e Andrew Veyette e di nuovo Anbeta Toromani questa volta con Alessandro Macario.

Seguiranno le tappe di Bologna (Teatro Europa Auditorium) il 20 dicembre, Firenze (Teatro Verdi) il 22, Ancona (Teatro delle Muse) il 28 dicembre, Reggio Emilia (Teatro Romolo Valli) il 4 gennaio, Pordenone (Teatro Verdi) il 10 gennaio, Ravenna (Teatro Dante Alighieri) il 14 e 15 gennaio 2017.

Paola Sarto

Foto Massimo Danza