Damiano Ottavio Bigi in “Approaching the lighthouse”.

Eleonora Abbagnato con le stelle italiane nel mondo, ha dato spazio all’omaggio a Pina Baush, indiscutibile Signora della danza del nostro tempo, scomparsa nel 2009 all’età di 68 anni.

Il programma del galà internazionale, curato da Daniele Cipriani, spazia dal grande repertorio classico a brani firmati da grandi coreografi contemporanei, fino alle creazioni originali di giovani autori italiani. Un’occasione per ammirare le performance di danza che già conosciamo e amiamo, espresse ai massimi livelli tecnici e interpretativi, ma anche per scoprire una nuova e originale tendenza coreografica, di origine italiana, che sta maturando e crescendo nel mondo.

E con questo intento, Pina Bausch, indiscutibilmente compianta Signora della danza del nostro Tempo, è stata omaggiata con lo spettacolo Approaching the lighthouse, che ha visto protagonista, in scena, con delle proprie creazioni coreografiche, l’italiano Damiano Ottavio Bigi.
Un assolo, a livello stilistico e interpretativo perfetto nell’ accomunare i confini della danza, travalicando quelli del teatro. Bigi, infatti, propone se stesso in una figura che va al di là dell’essere umano, un’entità artistica alla ricerca – inizialmente plausibile, poi quasi disperata – di una performance che gli renda giustizia.

Una rappresentazione così meta-performativa da risultare davvero sincera, sebbene pensata e minuziosamente collezionata per la messinscena del teatro. Il dialogo diretto col pubblico, in particolar modo, è la fonte principale del dubbio nascente nella mente dello spettatore: «sta improvvisando o ha davvero bisogno di essere rassicurato sull’andamento della performance e delle scelte coreografiche prestabilite?».

La verità non conta, perché l’escamotage funziona e lo sguardo del pubblico non si distrae nemmeno per un attimo.La fluidità dei gesti nelle sequenze danzate è a dir poco ipnotica, come se il danzatore volesse aggrapparsi all’aria per fluttuarvi, per evadere da quel bisogno di performare che lo imprigiona in se stesso, che lo travolge in una buia tempesta, frastornata da suoni terrorizzanti, nella quale si sente perso e desideroso di “ritrovare la luce”.

Ed è proprio con questa che la performance si conclude: una lampadina, piantata al vertice di un’asettica asticella, illumina il boccascena come una fiamma nel cuore dell’oblio, in cui il protagonista appare ancora più solo, vagabondo in un cammino che non sa dove andrà a finire.

Damiano Ottavio Bigi è nato a Roma nel 1982. Nel 1991 inizia a studiare danza classica nella scuola di Nabila El Kattam (Roma) e in seguito presso la scuola dell’Opera di Roma. Nel 1996 si trasferisce in Francia dove inizia anche una formazione di danza contemporanea nel Centre International Rosella Hightower (Cannes). Termina i suoi studi nel Centre National de Danse Contemporain d’Angers. Lavora con coreografi di prestigio come: Joelle Bouvier, Claude Brumachon y Benjamin Lamarche (Centro Coreográfico Nacional de Nantes), Cyrill Davy (Francia), Abou Lagraa (Francia) y Alvaro Restrepo (Colombia).Dal 2006 fa parte del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, compagnia con la quale partecipa al film “Pina” di Wim Wenders.Dal 2006 Lavora come coreografo e tiene dei laboratori in diversi paesi.

Pina Bausch, tra le più importanti e note coreografe mondiali, ha diretto dal 1973 il Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, con sede a Wuppertal, in Germania. Il suo nome è legato al termine Tanztheater (teatrodanza), adottato negli anni ’70 da alcuni coreografi tedeschi – tra cui la stessa Bausch – per indicare un preciso progetto artistico che intende differenziarsi dal balletto e dalla danza moderna, che include elementi recitativi, come l’uso del gesto teatrale e della parola, con precise finalità drammaturgiche.Inizia la carriera artistica da adolescente, esibendosi in piccoli ruoli di attrice nel teatro di Solingen, la città natale. In seguito si trasferisce a New York, grazie ad una borsa di studio. Perfeziona la sua tecnica alla Juilliard School. Successivamente viene scritturata, come ballerina, dal New American Ballet e dal Metropolitan Opera House. Nel 1962, dopo il rientro in Germania, che la vede impegnata ancora come danzatrice, Pina Bausch inizia nel 1968 a comporre le prime coreografie per il corpo di ballo della sua prima scuola, la Folkwang Hochschule di Essen fondata da Kurt Jooss, che dirigerà dall’anno successivo.Nel 1973 fonda il Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, cambiando nome al già esistente corpo di ballo di Wuppertal. I suoi spettacoli riscuotono fin da principio un indiscusso successo, accumulando riconoscimenti in tutto il mondo. I primi lavori sono ispirati a capolavori artistici, letterari e teatrali, come ad esempio Le sacre du printemps del 1975. Con Café Müller (1978), uno dei suoi spettacoli più celebri, composto sulle musiche di Henry Purcell, si assiste ad una svolta decisiva nello stile e nei contenuti. Mentre le prime opere sono animate da una dura critica alla società consumistica e ai suoi valori, le opere più mature approfondiscono sia il contrasto uomo-società, sia la visione intima della coreografa e dei suoi danzatori, che sono chiamati direttamente ad esprimere le proprie personali interpretazioni dei sentimenti.Pina Bausch muore di cancro ai polmoni il 30 Giugno 2009 all’età di 68 anni.La novità del suo lavoro non consiste tanto nell’invenzione di nuove forme e nuovi gesti, da riprodurre uguali a se stessi, quanto nell’interpretazione personale della forma che si vuole rappresentare, entrambe sostenute dal concetto basilare del rapporto (che è della danza così come di ogni forma di vera arte) tra fragilità e forza. I danzatori sono chiamati alla creazione delle pièces (che Bausch denomina stück) attraverso l’improvvisazione generata dalle domande che la coreografa pone loro. Per questo motivo gli interpreti della compagnia della Bausch vengono spesso denominati con il neologismo di danzattori. Infatti essi non ricoprono solamente il ruolo di danzatori, ma anche quello di attori e di autori dell’opera.

Un altro elemento di novità è costituito dall’interazione tra i danzatori e la molteplicità di materiali scenici di derivazione strettamente teatrale – come le sedie del Café Müller– che la Bausch inserisce nelle sue composizioni. Da citare anche il legame interpersonale che seppe sempre intrecciare coi suoi allievi, basato su un rapporto di reciproco rispetto e di affetto mai gridato ma profondissimo. Lo si evince anche dall’intenso film-documentario Pina dedicatole da Wim Wenders nel 2011 e presentato al 61º Festival di Berlino.

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Foto: Massimo Danza

Tommaso Beneventi, Rachele Buriassi e Giacomo Castellana in “Dance Macabre”.

“Eleonora Abbagnato con le Stelle Italiane nel Mondo”, Gala a cura di Daniele Cipriani, ha riunito sulla scena del Festival di Spoleto l’eccellenza italiana nel mondo.

Sono tantissimi gli artisti italiani impegnati nelle maggiori compagnie di danza del mondo: étoile, coreografi e giovani talenti che brillano nei più importanti teatri, dall’Opéra de Paris al New York City Ballet, dal’English National Ballet di Londra al San Francisco Ballet. Le loro biografie sono storie di tenacia e dedizione, segnate da svolte e spirito d’avventura. Nella loro danza c’è il racconto dell’emigrazione artistica italiana: viaggi individuali e vincenti verso l’eccellenza.
A queste eccellenze italiane nel mondo, che hanno conquistato il pubblico internazionale, è stata dedicata una serata-evento unica, ideata per il Festival dei Due Mondi. A guidare questo gruppo di stelle, Eleonora Abbagnato, protagonista di una delle più avvincenti storie di successo come artista italiana all’estero, oggi étoile di uno dei maggiori teatri del mondo, l’Opéra di Parigi, e direttrice del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma.
Il programma ha spaziato dal grande repertorio classico a brani firmati da grandi coreografi dei nostri tempi, fino alle creazioni originali di giovani autori italiani. Un’occasione per ammirare la danza che già conosciamo e amiamo, espressa ai massimi livelli tecnici e interpretativi, ma anche per scoprire un nuovo e originale segno coreografico, di matrice italiana, che sta maturando e crescendo nel mondo.
In questi scatti, possiamo ammirare alcuni attimi di “Danse Macabre”, brano sulle note di Saint-Saëns, appositamente creato per l’evento di Spoleto da Francesco Ventriglia, già direttore artistico del New Zealand Ballet, oltre che coreografo internazionale e direttore artistico aggiunto, oggi, del Ballet Nacional Sodre (Uruguay).
Splendidi ed intensi gli interpreti, Rachele Buriassi, già apprezzata solista del Boston Ballet, Giacomo Castellana, brillante solista dell’ Opera di Roma e Tommaso Beneventi, giovane talento del Royal Swedish Ballet.

“Danza Macabra” op. 40 (Danse macabre) è un breve poema sinfonico composto nel 1874 da Camille Saint-Saëns che nacque come Chanson (voce e pianoforte) e fu successivamente strumentata. La “Danse Macabre” è stata eseguita per la prima volta il 25 Gennaio 1874 ai Concerts Colonne di Parigi, dove qualche settimana prima era stato presentato il “Phaéton op. 39”, il secondo lavoro del genere di Camille Saint-Saëns.

Tra le numerose fonti d’ispirazione – la danza macabra, amata dall’iconografia medievale, fu già soggetto ispiratore di musiche (Totentanz di Liszt, ad esempio) e trasfigurazioni letterarie (come La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe) – il compositore si rivolse al poemetto grottesco scritto da Henri Cazalis sulla scorta della rinomata ballata di Goethe, che aveva creato una scena parodistica in cui la morte suonava un violino scordato in un cimitero.

La musica di Saint-Saëns non accoglie le ordinarie suggestioni demoniache ma prende le mosse dall’originale rilettura per cercare il “caratteristico” in una strumentazione ammiccante e spiritosa.

I dodici rintocchi della mezzanotte sono eseguiti pizzicando una corda d’arpa (quella del Re).

Si odono strani passi nel cimitero, riprodotti da un contrabbasso pizzicato e allora appare la Morte che suona il violino. Il violino della Morte, oltre ad avere la corda più alta “scordata” appositamente, suona anche in tonalità diversa: infatti esegue degli accordi di Mi minore, mentre il brano è in Mi maggiore. Questo tema, il tema del richiamo, rappresenta la Morte che accorda il violino.

Il tema A rappresenta i corpi dei defunti che si levano dalle tombe. Inizia con un’introduzione “spettrale” del flauto accompagnato dall’arpa per poi passare agli archi. Una terzina di timpani e riappare la Morte che comincia a suonare la sua lamentosa melodia con il suo violino scordato. Gli scheletri escono dalle tombe: sono rappresentati dal flauto e dopo la loro introduzione sulla scena riappare il violino della Morte. Avvolti in bianchi sudari si mettono a ballare forsennatamente: questa scena è descritta dal violino e dall’orchestra, sotto i rintocchi cadenzati del triangolo e dei timpani, tutti in fortissimo.

La danza vera e propria è formata da contrabbassi e violoncelli (sempre in fortissimo) che ripropongono il tema B inframmezzati da suoni “animaleschi” degli ottoni: le grida e le risa dei defunti. Nel quadro successivo riappare il tema A suonato dal violino scordato della Morte e a intervalli si presenta lo xilofono, una rappresentazione comica del rumore secco delle ossa degli scheletri che danzano. Il tema B diventa una fuga, una variazione sul famoso tema del Dies irae, suonato da tutta l’orchestra e poi presentato prima dai legni e poi dai tromboni. Un’altra variazione sul tema B: introduzione del violino, passaggio ai legni, ritorno al violino e ripresa da tutti gli archi. Il silenzio è rotto dalla Morte che riprende a suonare prima il tema A e poi il tema B, sotto forma di canone, presentato da violino, trombe e xilofoni. A questo segue un breve tema di passaggio eseguito dall’orchestra al completo, poi decrescere in un pianissimo: l’orchestra ripropone frammenti del tema A interrotti dal rullare in crescendo dei timpani. Il tema passa poi alle trombe.

Inizia un folle crescendo: gli archi imitano le folate del vento mentre il violino scordato suona di nuovo il tema A e il tema B (quest’ultimo variato): il crescendo arriva a un fortissimo, fatto dalla sovrapposizione del tema A suonato dagli archi e del tema B, riproposto dagli ottoni, il tutto scandito dall’assordante esplodere degli archi. Persino il vento (rappresentato ancora dagli archi) si unisce al coro degli spiriti (orchestra).

Improvvisamente si arresta tutto. Si sente solo un oboe, che rappresenta il canto del gallo, ovvero l’alba. Un rabbioso colpo di timpani e il tremolo d’archi segna la fine della ridda e la Morte, vinta dall’arrivo dell’alba, suona il tema conclusivo con il suo scordato violino. La scena (e la composizione) si conclude con un pizzicato d’archi.

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Foto: Massimo Danza